I tempi giusti della ricostruzione ma senza rinunciare ai controlli – 8 giugno 2017

Con ordinanza del Commissario per la ricostruzione del 5 maggio scorso, è stato stabilito che potranno essere avviati i lavori di messa in sicurezza di un primo gruppo di chiese inagibili tra quelle colpite dagli eventi sismici del centro Italia del 2016 e 2017. Considerando il notevole lasso di tempo intercorso dalle scosse più rilevanti del 24 agosto e del 30 ottobre 2016, il provvedimento assunto più che una buona notizia è la rappresentazione di un ritardo non del tutto giustificato.

Tuttavia, non bisogna mollare per mantenere alto l’impegno della ricostruzione e della predisposizione di iniziative programmatiche e preventive, facendo tesoro delle esperienze anche nefaste del passato. Non dobbiamo dimenticare, ad esempio, che la Commissione Parlamentare d’inchiesta istituita nel 1990 per accertare le irregolarità e le speculazioni nell’uso del denaro pubblico durante il processo di ricostruzione del parimenti drammatico sisma in Irpinia, che nel 1980 provocò quasi 3000 morti, ritenne che la responsabilità principale era da imputare alla politica locale incapace di gestire l’emergenza, soprattutto per un sistema di connivenze e di interessi elettorali.

Non di meno, va anche detto che l’avvio di una incisiva prevenzione dei rischi, benché già colta 37 anni fa, ad oggi non è stata appieno realizzata. Ne è prova il terremoto dell’Aquila, nel quale vi è stata una palese sottovalutazione degli allarmi che reiteratamente erano stati da più parti lanciati, e delle conseguenze criminali che si poteva agevolmente supporre vi sarebbero state.

Oltre a quelli già definiti, dobbiamo registrare che a distanza di 8 anni, vi sono ancora numerosi procedimenti pendenti che hanno come protagonisti pubblici dipendenti, imprenditori e camorristi.

Ma anche nel caso dei terremoti di agosto e ottobre scorso alcune sottovalutazioni, per usare un eufemismo, vi sono state, se si considera che vi sono delle inchieste giudiziarie aperte, prima tra tutte quella avviata dalla Procura di Rieti relativa al crollo di circa 70 edifici tra i quali la scuola “Romolo Capranica” di Amatrice.

Inchieste che ipotizzano il reato di disastro colposo e omicidio colposo a seguito di lavori eseguiti tutt’altro che a regola d’arte su edifici pubblici per i quali erano stati stanziati dei consistenti fondi per il loro ripristino e miglioramento a seguito dei terremoti del 1997 e del 2009.

É necessario non dimenticare che la ricostruzione è un progetto composito la cui attuazione avviene certamente attraverso appalti pubblici, ma anche sollecitando un processo culturale evolutivo che spinga a pretendere sempre maggiore trasparenza nella formazione dei provvedimenti legislativi ed amministrativi senza, successivamente, rinunciare ai controlli in punto alla loro effettiva realizzazione.

La sempre più diffusa diffidenza da parte dei tanti gravemente danneggiati dal sisma si può comprendere anche alla luce della esperienza del passato.

In Irpinia, dove ancora non si è giunti alla fine del percorso ricostruttivo, è ancora in carica, riconfermato da poco tempo, il Commissario per la ricostruzione del sisma del 1980 il cui costo, per la collettività, è di 100.000 euro all’anno.

Il problema principale, a ben vedere, non è la mancanza dei fondi quanto piuttosto il loro corretto utilizzo.

Secondo l’Associazione Nazionale dei costruttori, dal 1968 sono stati investiti 180 miliardi per riparare i danni da terremoto. Un dato straordinario se si considera che con poco più della metà si sarebbe potuta ristrutturare tutta l’Italia. La vera insidia è piuttosto rappresentata da una accentuata burocratizzazione che in molti casi costituisce un vero e proprio ostacolo.

Il timore dell’implementazione di fenomeni malavitosi, la corruzione in primo luogo, non può certo essere sottovalutata, tuttavia non è sostenibile pensare di contrastarli attraverso formalistici espedienti di controllo in molti casi del tutto avulsi dalle esigenze contingenti. Siamo ormai in estate, ma purtroppo il tempo passa in fretta e per quanto oggi appaia lontano un prossimo inverno ci sarà. Confidiamo che possa essere più mite di quello trascorso che non pochi disagi ha causato a chi già era costretto a vivere in condizioni di assoluta precarietà, ma soprattutto l’auspicio è che al netto di ogni utilitaristica promessa vengano approntate almeno tutte le strutture emergenziali essenziali per una decorosa per quanto provvisoria sistemazione.