I referendum, Francesco e il problema dell’aborto – 24 novembre 2016 –

La Lettera di Papa Francesco pubblicata a conclusione del Giubileo Straordinario sulla Misericordia, in particolare il passaggio sull’interruzione della gravidanza che più di altri è stato riportato dai media e, per quanto possibile, riaperto il dibattito sul mai definitivamente sopito tema dell’aborto, si inserisce in qualche modo nel clima referendario di questi giorni.
Infatti, la questione ci riporta al lontano 17 maggio 1981, data in cui i cittadini italiani furono chiamati a votare per ben cinque referendum abrogativi, dei quali due sull’interruzione della gravidanza che, secondo la proposta del partito radicale, sarebbe dovuta divenire più libera abrogando buona parte della legge 194/1978, mentre per l’associazione cattolica Movimento per la vita l’eliminazione avrebbe dovuto riguardare alcune disposizioni al fine di rendere l’aborto meno praticabile.
Gli esiti, come si ricorderà, anche se con una diversa percentuale tra i due quesiti, furono nettamente contrari alle due antitetiche proposte. Il dato non trascurabile è che la consultazione popolare del maggio 1981, certamente non può essere sottovalutata considerando che l’affluenza alle urne risultò essere alquanto elevata, quasi dell’80%.
Ciò che si vuole evidenziare è che già 35 anni fa gli italiani avevano definitivamente legittimato l’aborto oltre che dal punto di vista giuridico, anche culturale ed etico, anche se la concreta operatività dello stesso doveva essere comprovata da situazioni straordinarie.
Siamo ad oggi, neanche tanti anni dopo da quegli eventi se si considera che le modificazioni degli assetti costituiti sono molto lente e complesse, nel tempo in cui la Chiesa cattolica fa significativi passi in avanti. Il Papa, pur continuando a sostenere che l’aborto è un grave peccato, ha precisato che, al pari di tutti gli altri, può essere perdonato se vi è una convinta richiesta di riconciliazione.
Si tratta di una novità essenziale, poiché viene concesso a tutti i sacerdoti di “assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto”, vale a dire non solo la donna che volontariamente ha deciso di interrompere la gravidanza, ma anche il personale medico che ha eseguito l’operazione.
In precedenza, tale condotta avrebbe determinato la scomunica, secondo il codice di diritto canonico, di tutte le persone coinvolte, che poteva essere rimossa solo dal vescovo del luogo di chi ha commesso il peccato, oppure da quello che direttamente l’aveva comminata.
Si dovrebbe prendere spunto dalla decisione del Pontefice per archiviare definitivamente gli ormai anacronistici dibattiti sull’aborto come di una libertà assoluta e incondizionata poiché dovrebbe essere definitivamente acclarato che, per quanto possa sembrare paradossale, la legge 194 rappresenta la più ampia forma di garanzia della vita prenatale, subordinando l’interruzione della gravidanza solo ad eventi eccezionali in larga misura legati al manifestarsi di un grave pregiudizio per la salute fisica e psichica della donna.
É ora, piuttosto, che si affrontino le vere questioni legate alla corretta applicazione della legge nei termini sopraindicati ,nonché in primo luogo le difficoltà organizzative delle strutture sanitarie interessate che devono fare i conti con una percentuale superiore al 70% di medici obiettori di coscienza. Si tratta di un problema serio, poiché riguarda il difficile equilibrio, ormai largamente percepito come un conflitto, tra il diritto all’interruzione della gravidanza, ovviamente ricorrendone i presupposti, e quello all’obiezione di coscienza, anch’esso previsto dalla legge 194/1978.
Da più parti è stato evidenziato che una soluzione potrebbe essere quella di prevedere delle forme di mobilità del personale sanitario, nonché il loro reclutamento differenziato al fine di riequilibrare il numero degli obiettori e quello dei non obiettori in servizio presso le strutture pubbliche.
La problematica merita di essere attentamente considerata non soltanto per la recente sentenza del Consiglio d’Europa che ha evidenziato molte difficoltà di accesso al servizio, quanto per il concreto rischio di un’implementazione degli aborti clandestini, vale a dire ciò che in primo luogo si è tentato di combattere con la legge 194.