I due rischi nascosti nella bagarre referendum – 17 novembre 2016 –

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Le pressoché giornaliere indagini statistiche evidenziano come circa un italiano su due non conosca nel dettaglio i contenuti tecnici del referendum del 4 dicembre prossimo. Si tratta di una percentuale tutt’altro che trascurabile, verosimilmente riconducibile a ragioni inerenti il contenuto altamente specialistico, dal punto di vista giuridico, dei quesiti referendari che tuttavia, nella loro generica valutazione, trovano una pressoché unanime adesione essendo inverosimile che si possa esprimere dissenso ad una radicale riforma volta al superamento del bicameralismo paritario, alla riduzione del numero dei parlamentari, al contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, alla soppressione del CNEL ed alla revisione del titolo V della parte II della Costituzione.

Il punto del contrasto, quindi, è piuttosto relativo alla effettiva utilità della riforma ovvero al rischio che la stessa, secondo la visione dei contrari alla sua definitiva promulgazione, potrebbe risultare dannosa con effetti opposti da quelli prospettati.

Inoltre la complessa intelligibilità delle domande referendarie e per alcuni versi la loro equivoca formulazione, non consentirebbero un libero ed informato consenso degli elettori.

Circostanza in base alla quale, senza successo, sono state intraprese iniziative giudiziarie con la finalità di investire il Giudice delle leggi al fine di farne accertare eventuali profili di incostituzionalità.

Ma la questione sostanziale è un’altra, ovvero se per le ragioni appena dette, possiamo ritenere effettivamente attuati i presupposti del prossimo referendum costituzionale, il terzo nella storia della Repubblica Italiana, la cui indizione, è bene ricordarlo, non è stata una libera scelta bensì un inevitabile adempimento poiché, come è noto, la proposta di riforma è stata approvata con una maggioranza inferiore ai due terzi dei componenti di ciascuna camera.

Cosicché, come prescritto dall’articolo 138 della Costituzione, si è reso necessario un referendum per sottoporla al giudizio degli elettori.

A ben vedere la tornata referendaria prossima, anche nel contenuto, è tutt’altro che una novità poiché già nel 2005 il Parlamento aveva approvato un progetto di riforma costituzionale che riguardava, tra l’altro, la riduzione del numero dei parlamentari; la fine del bicameralismo perfetto; i poteri del Presidente della Repubblica chiamato ad essere “garante dell’unità federale della Repubblica”; l’ aumento dei poteri del primo ministro, cioè uno tra i temi oggi più temuti e dibattuti dagli oppositori della riforma.

Anche quella legge di revisione costituzionale, approvata a maggioranza assoluta dei membri del Parlamento, venne sottoposta al referendum del 25 e 26 giugno 2006 il cui risultato fu la bocciatura da parte della maggioranza dei votanti.

Con esiti opposti venne invece approvata con referendum confermativo del 7 ottobre 2001, la modifica del titolo V della parte II della Costituzione della Repubblica Italiana, la stessa che, con la prossima consultazione elettorale, si propone di revisionare.

Anche in questi precedenti casi di intervenuta riforma costituzionale, il tema risultava essere altamente tecnico e in alcuni casi, come si è visto, il consenso parlamentare non è stato così ampio da raggiungere la maggioranza speciale dei due terzi che, astrattamente, avrebbe potuto escludere il ricorso alla consultazione popolare.

Da quanto si è detto, ovvero se con lo strumento referendario si volesse porre alla valutazione dei cittadini il contenuto tecnico delle leggi, il loro futuro impatto sulle sorti del Paese, rischieremmo due diverse ma parimenti gravi conseguenze. Da una parte aggraveremmo la crisi dell’istituto del referendum, già ampiamente considerato inefficace tanto che negli ultimi venti anni, nei quali ne sono stati svolti sei, si è registrata una sempre più marcata assenza di partecipazione.

L’altro pericolo è il definitivo svuotamento della Sovranità Popolare, un concetto che benché espressamente indicato all’art. 1 della Costituzione, risulta essere sempre più evanescente.

Eppure la Sovranità è il potere pubblico supremo attraverso il quale il Popolo partecipa direttamente alla vita politica del Paese, esprimendo dissenso o consenso alla stessa proprio tramite il referendum. Un strumento irrinunciabile che in una società moderna dovrebbe essere sempre più implementato e qualificato, per evitare che la Sovranità popolare si riduca a una semplice e vuota petizione di principio.