Quell’arma spuntata sulla legittima difesa – 18 maggio 2017 –

Almeno tre motivi rendono il dibattito sulla legittima difesa, che in questi giorni ha largamente occupato l’interesse dei politici, dei media e dell’opinione pubblica, fuorviante e, per quanto più ci interessa, non risolutivo delle problematiche della “sicurezza”.

In primo luogo si tratta di un disegno di legge, vale a dire una proposta di provvedimento normativo che, come l’esperienza comune insegna, va incontro ad un iter alquanto complesso e soprattutto non breve cosicché, con ogni probabilità, la sua eventuale definitiva approvazione avrà bisogno di un tempo ben maggiore di quello che la corrente legislatura dispone. Si consideri che la proposta di legge di cui stiamo parlando è stata presentata il 28 aprile del 2016, quindi oltre un anno fa, ed è approdata alla Camera dei Deputati il 3 maggio scorso per essere approvata in tempo record il giorno successivo.

Ad oggi il testo è passato al Senato dove molto probabilmente verranno introdotte delle modifiche che dovranno essere, in un successivo passaggio, confermate dalla Camera dei Deputati.

L’altro motivo di critica è la complessità del testo del disegno di legge. Certo, siamo ormai abituati a leggi scritte male alle quali va il merito di rendere ancora più criptica la già difficilmente intelligibile volontà del legislatore; tuttavia è difficile rassegnarsi alla superficialità quando non addirittura ad errori di grammatica e a richiami normativi imprecisi. Il testo di legge sulla legittima difesa presenta molte di queste “qualità”. In particolare con lo stesso, nel tentativo di ampliare la possibilità di difendersi dalla “aggressione commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno” è stata utilizzata come “arma impropria” la congiunzione “ovvero” che, come è noto, e quindi come dovrebbe essere ben conosciuta dai redattori di un testo normativo, nella lingua corrente stà per cioè; vale a dire. Mentre, dal punto di vista più tecnico giuridico, il significato è quello disgiuntivo come “oppure”.

Si tratta di una apparente disquisizione linguistica che tuttavia ha un rilevante peso in concreto poiché a seconda di come si interpreterà “ovvero”, la legge varrà solo per gli avvenimenti accaduti “in tempo di notte” o anche per quelli che avvengono di giorno.

Considerando che la questione è tutt’ora irrisolta nonostante i giudici se ne siano occupati più volte, viene da chiedersi per quale motivo non sia stata utilizzata un’altra formula più chiara.

Terzo punto, forse il più importante, che rende pressoché inutile il disegno di legge sulla legittima difesa con il quale ci si ripropone di modificare alcuni articoli del codice penale, in particolare il 52 ed il 59, è che l’unico risultato conseguito è stato di aprire un dibattito prevalentemente se non esclusivamente sulla possibilità di consentire una maggiore e più facile acquisizione ed uso di armi, quando invece il tema sicurezza è molto più articolato e meritevole di interventi ben più radicali, a partire dall’ ignorato dibattito sulla certezza della pena che in Italia è  una sorta di enigma, poiché tutti la vogliono ma nessuno la attua. Tanto per fare un esempio, nel 2016 dei 10139 malviventi arrestati per rapina soltanto 6120 sono ancora in prigione mentre gli altri, vale a dire circa il 40%, sono stati scarcerati e in alcuni casi affidati ai servizi sociali. Si può ben comprendere lo stato d’animo d’insicurezza dei cittadini e quello disilluso delle forze dell’ordine che percepiscono come vano il rischioso lavoro svolto; ma anche quello dei delinquenti che considerano il nostro Paese una sorte di Eldorado.

Non si può escludere che nell’ambito delle facoltà interpretative conferite ai giudici, alcuni di essi possano avere un atteggiamento diciamo così più garantista, ma dobbiamo prima di tutto prendere atto che applicano le leggi che a loro volta sono rappresentative di scelte politiche. Tenere in carcere qualcuno in attesa del processo è molto difficile in un ordinamento giuridico come il nostro nel quale i termini di custodia cautelare sono molto brevi.

Ecco quindi emergere un’altra questione, quella dei tempi processuali, sui quali è arduo incidere considerando le scarse risorse di mezzi e uomini disponibili.

Negli ultimi anni è stata attuata una politica di depenalizzazione di reati al fine di ridurre il sovraffollamento degli istituti carcerari, ma la vera problematica è la rielaborazione del sistema sanzionatorio, certamente in un’ottica di reale reinserimento del condannato ma anche di prevenzione dei fenomeni criminali recuperando la cultura giuridica fondata sulla convinzione che chi sbaglia paga.