La sicurezza da garantire senza rinunciare ai diritti – 25 maggio 2017 –

L’ultimo drammatico e vile attentato all’Arena di Manchester dello scorso 22 maggio, il cui tragico bilancio è di 22 morti e 59 feriti, molti dei quali giovani e giovanissimi, conferma che il terrorismo di matrice islamica è il nemico contro il quale dovremo combattere nei prossimi anni.

Anche questa volta, come di recente è già accaduto, non è stato colpito un determinato “simbolo”, ma è risultata chiara la volontà di portare il terrore nelle nostre strade e più in generale, nei luoghi di svago abitualmente frequentati, colpendo “nel mucchio” la folla indistinta. Il proposito degli attentatori di eliminare famiglie con bambini, gruppi di amiche, coppie di fidanzati poco più che adolescenti altro non è che la raccapricciante evoluzione del nuovo corso della strategia del terrore inaugurato, se così si può dire, con gli attentati di Parigi del novembre 2015, volto a sconvolgere nel profondo la quotidianità, le abitudini e lo stile di vita di ognuno di noi.

Le analogie con i precedenti attentati che negli anni e nei mesi scorsi hanno colpito l’Europa tuttavia non si esauriscono qui. Secondo quanto si apprende dalle prime ricostruzioni da parte degli inquirenti, anche l’attacco di Manchester pare sia stato condotto da un kamikaze che, non è ben chiaro a quale titolo e con quale ruolo, apparterrebbe all’Isis, che ha già rivendicato la paternità dell’atto terroristico.

Sembra che anche in questo caso, come in altri precedenti, l’attentatore (un ragazzo inglese di origini libiche poco più che ventenne, già noto alle forze dell’ordine) si sarebbe radicalizzato in tempi brevi.

Si ripropone, in altri termini, lo schema dei c.d. “lupi solitari”, soggetti figli di immigrati che vivono ai margini del consorzio sociale, spesso con precedenti penali per reati minori, che agiscono per una forte percezione di ingiustizia e un accentuato senso di isolamento e di emarginazione, nella malsana convinzione che l’unico sostegno può essere trovato in chi invece li utilizza per i propri fini, offrendogli una falsa solidarietà.

E’ la storia solo per restare agli ultimi episodi, di Mohamed Lahovajet-Bouhlel, il trentunenne con doppia cittadinanza, francese e tunisina, che nel mese di luglio dello scorso anno a Nizza, nella centralissima e affollata Promenade Des Anglais, a bordo di un autocarro ha investito ed ucciso 86 persone ferendone altre 300. Ma è anche la narrazione della vita di Anis Amri, un tunisino da anni emigrato in Europa che il 19 dicembre ultimo, in un mercatino natalizio di Berlino, alla guida di un tir ha ucciso 12 persone ferendone una cinquantina.

E’ realistico supporre che tali individui mentalmente fragili, per l’esclusione di cui si sentono vittime incomprese, vogliano annientare la realtà in cui vivono e il modo spietato e violento con cui agiscono esprime le cifre del loro odio che arriva a confonderli al punto da perdere ogni rispetto per la vita umana, a partire dalla propria.

La premier britannica Theresa May ha parlato subito dopo la strage alla nazione da Downing Street, preannunciando una risposta dura ed evidenziando i rischi per un altro attentato terroristico a stretto giro sul suolo inglese.

L’allerta è massima, non solo nel Regno Unito, ma in tutta l’Europa che, per combattere efficacemente la guerra al terrore, è chiamata a svolgere un ruolo da protagonista. Non con le armi o con un esercito di cui non dispone, ma attraverso la riproposizione di quei valori su cui la stessa è stata costruita, primi fra tutti l’inclusione, l’accettazione delle diversità e la libertà.

L’esigenza di garantire sicurezza senza rinunciare ai diritti che abbiamo duramente conquistato nel corso della nostra storia più o meno recente è di certo la sfida più grande ed importante che attende l’Europa.

La tutela della nostra civiltà non può, infatti, in alcun modo implicare una negazione dei valori che l’hanno ispirata e su cui la stessa fonda, ma presuppone una strenua ed ostinata difesa degli stessi.