Processo decisionale e le leggi da tagliare – 28 luglio 2016

Gli infruttuosi per quanto reiterati tentativi di semplificazione legislativa, ci hanno fatto assumere consapevolezza della complessità se non addirittura impossibilità di raggiungere l’obiettivo.

Benché il tema sia dichiaratamente condiviso dalle forze politiche, sindacali e sociali, i modesti risultati ad oggi conseguiti, in larga parte addebitabili a contrasti formali sulla interpretazione ed applicazione della legge, inducono a ritenere insussistente, in concreto, la volontà formalmente espressa.

È il caso, tanto per citare una delle disposizioni più note sull’argomento, della legge n. 246 del 2005 meglio conosciuta come “taglialeggi” i cui effetti sono stati largamente insoddisfacenti nonostante il meccanismo attuativo della stessa fosse alquanto semplice: abrogazione totale di tutte le leggi più vecchie a partire dal primo gennaio 1970, salvando soltanto quelle che il legislatore riservava di indicare espressamente.

Certo non si possono nascondere le oggettive difficoltà di riordino e semplificazione della legislazione vigente, implicando ciò una revisione dei rapporti tra Governo e Parlamento, Stato e Regioni e, anzitutto, la modifica delle procedure parlamentari.

Inoltre sono emerse opinioni divergenti degli studiosi della materia che in più occasioni non hanno mancato di rappresentare una visione critica nei confronti delle proposte di semplificazione, assumendo che le stesse condurrebbero alla demolizione dell’impianto legislativo.

A ciò si aggiunga che gli strumenti legislativi messi in campo sono farraginosi e, pertanto essi stessi rappresentativi degli ostacoli che si intende combattere.

Tuttavia, la semplificazione legislativa é il presupposto cardine dello Stato moderno ed incide profondamente sul principio di legalità, in particolare nella parte relativa alla separazione dei poteri. Non a caso, costituisce il fulcro delle raccomandazioni che l’Ocse e l’Unione Europea indirizzano costantemente agli Stati membri considerandola una finalità prioritaria.

La better regulation consente di perfezionare il processo decisionale e di ridurre le disuguaglianze sociali ed economiche sempre più marcate dalla globalizzazione.

Una società democratica è tale solo se attua una regolazione fondata sulle pari opportunità, che consenta ai propri cittadini il pieno esercizio dei loro diritti ed agevoli l’accesso alle risorse economiche e culturali disponibili.

In definitiva, dare ad ognuno la possibilità di conoscere facilmente le norme attraverso le quali raggiungere le finalità di crescita culturale, sociale o anche economica a cui si aspira, significa tutelarne i diritti tra i quali, parafrasando James Madison, quello “alla ricerca della felicità”.

L’esperienza insegna che quando ciò è avvenuto, anche soltanto parzialmente, come nel caso del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, che dopo decenni ha rivisitato le tematiche della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, i risultati positivi si sono concretamente materializzati.

La qualità delle regole è anche rappresentata dalla loro corretta applicazione che pertanto deve essere quanto più possibile agevolata con la chiarezza delle disposizioni, poiché ciò ne implementa il rispetto.

È un dato difficilmente confutabile che lo sviluppo e l’innovazione sono in primo luogo promossi da regole di qualità, in difetto delle quali non vi potrà che essere l’immobilismo sociale ed economico, ma anche un danno molto rilevante per la collettività se si considera che l’inaccessibilità o anche soltanto la incomprensibilità della rule of law comporta un costo per la collettività di circa 700 milioni di euro l’anno, vale a dire più o meno il 30% del Pil.

Basterebbe solo questo dato a far ritenere ormai inderogabile l’attuazione di una riforma convinta di effettiva semplificazione legislativa.