Obiezione di coscienza? Piuttosto condotta illegittima – 17 settembre 2009 –

Il recente via libera dell’Agenzia Italiana del Farmaco alla immissione in commercio anche nel nostro Paese della pillola abortiva Ru486, da utilizzare esclusivamente in ambito ospedaliero e non oltre la settima settimana di gravidanza, non smette di suscitare polemiche e discussioni.

Nei giorni scorsi infatti il Pontefice Benedetto XVI, nel ribadire l’importanza del valore della coerenza per tutti i cattolici, ha invitato i farmacisti a non distribuire medicinali che non rispettino la vita umana fin dal suo concepimento.

L’invocata questione della libertà di coscienza per i farmacisti o, per meglio dire dell’obiezione di coscienza, solleva in primo luogo alcune perplessità sotto il profilo applicativo e della legittimità costituzionale.

I confini dell’obiezione, infatti, in caso di incidenza sui diritti altrui, vanno puntualmente fissati e disciplinati in via preventiva, poiché è compito delle Istituzioni garantire – al pari della libertà di coscienza di ognuno – il rispetto di quei diritti fondamentali che la stessa obiezione potrebbe astrattamente ledere.

In simili ipotesi e in difetto di misure volte a tutelare l’effettività di un accesso indiscriminato ai medicinali, la scelta arbitraria di un farmacista di non somministrare un determinato farmaco, pur se sorretta dalle più nobili convinzioni morali, non potrebbe che rappresentare una ingiustificata vessazione del diritto alla salute, riconosciuto dal nostro ordinamento come fondamentale, e tradursi, più che in un atto di obiezione di coscienza, in una vera e propria condotta illegittima.

In secondo luogo, si rileva poi che la questione relativa alla somministrazione della pillola abortiva non pare posta nei termini più corretti.

Valga a tal proposito evidenziare che la legge n. 194 del 22 maggio 1978, disciplinante la tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza, non ha mai riconosciuto un libero ed indiscriminato ricorso all’aborto, ma ha inteso subordinare la possibilità di interrompere la gravidanza al manifestarsi di un “serio pericolo” per la salute psico-fisica della donna (articolo 4), conformemente ai principi costituzionali in materia.

In altri termini il legislatore giustifica e consente la compressione del diritto alla vita del nascituro unicamente al ricorrere di una gestazione potenzialmente nociva per il benessere fisico e psichico della donna che, contrariamente al primo, è già persona.

Ciò posto, la somministrazione della pillola Ru486 nel rispetto della legislazione vigente in tema di interruzione della gravidanza è del tutto legittima e conforme ai dettami costituzionali, oltre che meno invasiva rispetto al tradizionale aborto chirurgico e, per questa ragione, senz’altro preferibile.

Parrebbe pertanto più opportuno riflettere non sulle modalità mediante le quali l’interruzione della gravidanza si realizza, bensì sull’effettiva e concreta sussistenza pro casu dei presupposti richiesti dal legislatore per ricorrere all’aborto, rappresentando ormai l’accertamento dell’eventuale minaccia per l’incolumità della salute della donna poco più che una mera formalità.