Le scuse dei giudici e un sistema al limite – 23 febbraio 2017 –

Ha suscitato molto clamore una vicenda giudiziaria di questi giorni che si è consumata presso la Corte di Appello di Torino dove un imputato, già condannato in primo grado a dodici anni di carcere con l’accusa di aver ripetutamente violentato la figlia della convivente, è stato prosciolto per prescrizione essendo trascorsi venti anni dalle violenze avvenute nell’ormai lontano 1997.

Buona parte del tempo, vale a dire nove anni, è stato perso in attesa che venisse fissato l’appello. Ciò ha consentito al presunto violentatore di uscire indenne ed in via definitiva dal processo mentre la parte danneggiata, una ragazza di 27 anni che all’epoca dei fatti ne aveva solo 7, ha deciso di non presentarsi nella legittima aspirazione di dimenticare l’accaduto posto che in ogni caso dalla giustizia, quantomeno quella penale, nulla avrebbe potuto attendersi.

Tuttavia, la risonanza dell’episodio non dovrebbe essere rappresentata dalla lentezza nella celebrazione dei processi che, come è a tutti noto, costituisce un elemento endemico del sistema giudiziario italiano, bensì dalle scuse del Presidente del Collegio giudicante, alla vittima e al popolo Italiano essendo alquanto raro che un Giudice assuma un tale atteggiamento autocritico in ragione di una responsabilità che dal punto di vista soggettivo non può essergli certamente imputata.

D’altra parte la condizione del sistema giudiziario nel nostro Paese è giunta ad una inefficienza talmente grave che vi è ormai una così diffusa rassegnazione all’ingiustizia corrispondente alla piena consapevolezza che se per caso o per sfortuna si entra nel meccanismo, per uscirne indenni o se vogliamo per conseguire la tutela dei diritti violati, non resta altro che affidarsi a qualche Santo o piuttosto diciamo pure alla sorte, per preservare un senso di laicità anche nella speranza.

Di fronte a tale sconcertante quadro, anche per quanto possa apparire retorico, viene da chiedersi se c’è una via d’uscita posto che per quanto tautologico possa apparire, il punto è che comunque vada non c’è giustizia se questa non funziona.

Ecco quindi che il quesito può essere circoscritto. Il sistema giustizia è in grado di assorbire gli oltre 3 milioni di nuovi processi ogni anno sia nel settore civile che in quello penale, che vanno a sommarsi ai complessivi 7 milioni arretrati?

Si tratta di una mole enorme di cause che si accumulano sempre più e che da tempo hanno intasato i nostri tribunali al punto che i tempi per ottenere giustizia, nei casi in cui ciò può effettivamente ancora avvenire, sono biblici.

Le conseguenze economiche per la collettività di tale disfunzione, sono enormi, come documentato anche da un’indagine recente di Banca Italia che lo ha quantificato equivalente all’1% del PIL, stiamo parlando di oltre 16 miliardi di euro.

E cosa dire della beffa? E già; la giustizia italiana troppo lenta ci costa cara anche per il pagamento degli indennizzi legittimamente richiesti dai cittadini vittime della irragionevole durata dei processi.

L’ultimo dato, peraltro risalente, è di 84 milioni di esborsi annui.

In questo desolante panorama, resta l’apprezzamento per il comportamento che ha avuto il Giudice del processo torinese, anche in riferimento a disfunzioni non direttamente a lei addebitabili.

Tuttavia non possiamo dimenticare che uno dei capitoli più imbarazzanti di malagiustizia, che obbliga lo Stato a risarcimenti milionari, è rappresentato dagli errori giudiziari. Un fenomeno molto difficile se non impossibile da eliminare, che comunque dovrebbe essere contenuto in rari casi, vere e proprie eccezioni, piuttosto che, come purtroppo avviene soprattutto negli ultimi tempi, essere in costante espansione al punto che se ne registrano ormai circa 2.500 nuovi casi ogni anno.

Un numero destinato statisticamente ad aumentare se si considera che oggi, ci riferiamo al settore penale, sono circa 18.000 le persone detenute ma ancora in attesa del processo (in pratica, il 34,9 per cento della popolazione carceraria).

Proprio in questi casi sarebbero opportune le scuse, anche per il non secondario valore simbolico che potrebbero avere al fine di recuperare una largamente persa fiducia dei cittadini nei confronti dei Giudici.