Il lavoro e gli ideali a cui non si rinuncia – 4 maggio 2017 –

La festa del lavoro rappresenta una occasione per rinnovare la straordinaria importanza del tema che costituisce il fondamento della nostra Repubblica, come ci ricorda il primo articolo della Costituzione.

Quest’anno le celebrazioni sono state, diciamo così, contenute in un alveo di ordinaria amministrazione quasi a significare che non vi sono ragioni particolari che possano indurre a supporre che il lavoro non sia tenuto nella considerazione che merita, ovvero il principio distintivo della forma di Stato la cui incidenza è tale da condizionare l’interpretazione delle leggi e della stessa Costituzione. A riprova di ciò si consideri la scelta dei sindacati confederali di svolgere la manifestazione nazionale del Primo maggio in Sicilia, a Portella della Ginestra, in ricordo dell’eccidio mafioso di 70 anni fa di braccianti ai quali nessuna colpa poteva essere imputata se non quella, imperdonabile, secondo i loro carnefici guidati da Salvatore Giuliano, di essere vicini al sindacato.

Un episodio crudele del quale, in linea con gli ormai numerosi misteri italiani, ancora oggi non è chiaro chi fossero i mandanti e quale perversa strategia perseguissero.

Tuttavia, nel rispetto del valore simbolico delle manifestazioni celebrative, utili peraltro a consentirci di conoscere meglio il nostro passato per affrontare con maggiore cognizione di causa le sfide future, la situazione attuale del lavoro in Italia è molto critica e sempre più incerta.

Non si tratta soltanto del tasso di disoccupazione che, secondo gli ultimi dati Istat, a marzo scorso è risalito all’11,7%, cioè oltre 3 milioni di persone, tra le quali una percentuale rilevante di ultracinquantenni, bensì della diffusione del preoccupante fenomeno della recessione della tutela dei diritti dei lavoratori.

Una contrazione, quella della tutela dell’occupazione, che al pari di quella che potrebbe riguardare altri rilevanti diritti come, per esempio, quello alla salute, si pone in netto contrasto con i principi costituzionali che proprio nel lavoro individuano l’elemento fondamentale per il superamento delle barriere per il conseguimento dell’uguaglianza.

Eppure nonostante ciò, sono state promulgate disposizioni normative restrittive alle quali inspiegabilmente la Corte Costituzionale, alla cui attenzione sono state rimesse per valutarne la legittimità costituzionale, ha dato avallo seppure con la poco chiara precisazione di preservare il contenuto minimo del diritto immolato. A giustificazione di tali provvedimenti, per lo più si è sostenuta la necessità di garantire le generazioni future. Anche volendo riconoscere un fondamento di lealtà alla tesi, si tratta di un equivoco, poiché verso le generazioni future vi è senza dubbio un obbligo di protezione, ma i vincoli giuridici che devono essere attuati per il conseguimento di tali finalità non possono ricadere, in via esclusiva, su chi oggi risulta essere, titolare di diritti e di doveri. Diversamente si giungerebbe ad una interpretazione distorta della Carta Costituzionale la cui caratteristica, se è possibile riassumerla in poche battute, è spingere agli investimenti sui diritti e non sul loro restringimento. La questione non è eludere la responsabilità verso le generazioni future, alla quale peraltro la nostra Carta Fondamentale ha sempre guardato con attenzione, bensì avere maggiore riguardo ai diritti (oltre ai doveri) della generazione presente. Evitare che la stessa possa rinunciare agli ideali dei loro padri, che non poco hanno lottato per conseguire diritti e garanzie sul lavoro.

É questo un pericolo sempre più evidente come dimostra una ormai diffusa “remissività lavorativa”,  vale a dire la tendenza che induce ad ottenere oppure a conservare il posto di lavoro a qualsiasi costo. Proprio per questa ragione, evidentemente, non ha destato alcuna sorpresa, quando invece avrebbe dovuto provocare una reazione di forte dissenso da parte di tutti e della politica in primo luogo, il sondaggio di qualche mese fa, seppur circoscritto ai soli romani, in base al quale il 65% dei giovani è pronto a rinunciare a contratti regolari e diritti dei lavoratori pur di avere un impiego. É facile comprendere come la crisi economica, più di altri, ha colpito i diritti sociali. Ma la cosa più straordinaria, è che ciò è avvenuto in nome del contenimento della spesa pubblica che pur essendo esso stesso un interesse costituzionalmente previsto, come tutti possono riscontrare, non è mai stato appieno attuato.