Una legge necessaria – 18 ottobre 2007 –

Dopo la pausa estiva, il testo di legge sul testamento biologico riprende il suo iter parlamentare. Nonostante gli sforzi profusi, non è stato possibile concentrare la discussione su due ddl (uno per la maggioranza e uno per l’opposizione), dal momento che le proposte restano ben otto (rispettivamente cinque della maggioranza e tre dell’opposizione).

La situazione riflette la complessità e la delicatezza della questione come, d’altronde, è inevitabile quando sono in gioco temi etici: in questi casi, infatti, lo scontro non è tra destra e sinistra, tra maggioranza ed opposizione, bensì tra laici e cattolici dei due schieramenti.

Il progetto di legge sul testamento biologico mira a sancire la possibilità di autodeterminazione del paziente, rispetto alla cure mediche, anche qualora non sia più in grado di intendere e di volere, riconoscendogli il diritto di porre fine alla propria esistenza. Se un paziente è in fin di vita e non ha alcuna possibilità di recupero, è consentito – sulla scorta delle dichiarazioni anticipate affidate a un proprio fiduciario quando era in piena coscienza – chiedere che non venga attuato l’accanimento terapeutico, ad esempio, interrompendo l’alimentazione forzata e l’idratazione. Al di fuori di tali ipotesi non è possibile praticare iniezioni letali ovvero staccare i macchinari che consentono al malato terminale di rimanere in vita, cosicché non si può in nessun modo discorrere di eutanasia.

Più in particolare, sono due i principali quesiti che l’emananda disciplina è chiamata a sciogliere: da un lato, occorre precisare quando si possa discorrere di «fine della vita»; dall’altro, fino a che punto sia consentito far valere il diritto di esprimere in anticipo la propria volontà sui trattamenti sanitari e sulla loro interruzione. Restano, pertanto, sullo sfondo il precetto costituzionale racchiuso nell’art. 32 cost., che – nell’accordare tutela al diritto alla salute – aggiunge che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»; nonché, la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina firmata ad Oviedo nel 1997 (e ratificata con legge 28 marzo 2001, n. 145) la quale dispone che «i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la propria volontà, saranno tenuti in considerazione».

I punti condivisi da tutti i ddl sui quali c’è accordo generalizzato a prescindere dallo schieramento politico si rinvengono: nel divieto di accanimento terapeutico; nel riconoscimento al malato della facoltà di indicare in anticipo le cure accettate o rifiutate per quando non sarà più in grado di intendere e di volere, e di nominare un fiduciario che sarà notaio e anche interprete della volontà del paziente che non può più decidere; nella possibilità per il malato di modificare il testamento biologico in ogni momento.

Per converso, manca unità di vedute sul ruolo e sui poteri del fiduciario e del medico, nonché su quale sia il soggetto terzo e neutro chiamato a dirimere i potenziali conflitti tra i primi due (il giudice o il Comitato etico dell’ospedale?). Parimenti, non è chiaro a chi spetta stabilire quando le cure praticate sconfinano nell’accanimento terapeutico. Infine, si dibatte circa la possibilità di interrompere l’alimentazione forzata e l’idratazione, che possono essere sospese soltanto nei limiti in cui siano considerate terapie mediche.

A tale proposito, la Corte di Cassazione con la sentenza del 16 ottobre (n. 21748: caso Eluana Englaro) ha statuito che l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino nasogastrico – pur non integrando, in sé, oggettivamente una forma di accanimento terapeutico – costituiscono un trattamento sanitario, sospendibile su richiesta del tutore in costanza di una duplice condizione: a) l’irreversibilità dello stato vegetativo (da valutare in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale); b) la volontà (presunta) del paziente prima dell’incidente (desumibile da elementi di prova chiari, precisi e concordanti, che tengano conto della personalità, dello stile di vita e dei convincimenti del malato, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona).

È pertanto auspicabile che la pronuncia dei Giudici di legittimità sul «caso Englaro» dia ulteriore impulso al procedimento legislativo, stigmatizzando l’impellenza e la necessità di una legge sul testamento biologico, al quale affidare inequivocabilmente l’intenzione del malato, evitando di dover ricorrere a pericolose presunzioni.