Class action da rivedere – 12 agosto 2008 –

È opinione diffusa che nel nostro paese e più in generale in tutti quelli della UE, vi sia una adeguata tutela dei consumatori. Senza dubbio i numerosi riferimenti legislativi, anche comunitari, ed in ultimo l’entrata in vigore del codice del consumo, depongono a favore di questa tesi che ha un certo fondamento per i temi dell’ambiente o anche dell’alimentazione, ma è tutt’altro che condivisibile per quanto concerne la materia contrattualistica.

In questo settore non secondario della nostra vita quotidiana, basti pensare ai contratti bancari o assicurativi ovvero alle utenze telefoniche e di energia elettrica, non si ravvisa analoga attenzione. Una concreta novità potrebbe essere rappresentata dalla ormai celebre Class Action, cioè dall’azione collettiva risarcitoria, che sarà operativa dal 1° febbraio 2009 data fissata dall’ultima manovra finanziaria, dunque non subito come si sperava. Ma il funzionamento di questo nuovo strumento di tutela, previsto dall’articolo 140 bis del codice del consumo, può effettivamente assolvere l’esigenza ormai unanimamente invocata di tutela dei consumatori? Dal punto di vista funzionale è possibile garantire protezione giuridica per danni di entità modesta, esempio bollette del telefono, del gas o dell’energia elettrica, per i quali un’azione individuale non sarebbe conveniente in quanto, verosimilmente, più onerosa del danno da risarcire. La vera questione annosa però è rappresentata dal profilo strutturale. In altre parole dalle modalità di proposizione dell’azione che risultano essere complesse e, per alcuni versi, inaccessibili. Basti considerare che la legittimazione all’azione collettiva è conferita, in via esclusiva, alle associazioni dei consumatori iscritte in un elenco del Ministero dello sviluppo economico o comunque ad associazioni o comitati rappresentativi su base nazionale. Quindi al singolo cittadino non resta che aderire all’azione già avviata da altri e ciò gli è consentito fino alla udienza conclusiva del giudizio di appello, ovvero entro un margine temporale evidentemente ampio. Per altri versi il tribunale, chiamato a decidere in formazione collegiale, dopo un accertamento sommario delibera sull’ammissibilità della domanda ove non riscontrasse la manifesta infondatezza della stessa, un conflitto di interessi o, soprattutto, un interesse collettivo. E’ anche prevista una procedura conciliativa, ma solo dopo la sentenza. Una singolarità che non appare compatibile con il nostro sistema giudiziario in quanto la composizione conciliativa della controversia non è precedente, come normalmente accade, bensì successiva al provvedimento del tribunale. Sarebbe auspicabile una semplificazione legislativa che favorisca una più adeguata applicazione dell’azione risarcitoria collettiva, anche da parte di singoli individui, così da esprimere al meglio le esigenze di tutela piuttosto che ricercare a tutti i costi inutili comparazioni con la Class Action americana dalla quale non poche sono le differenze; per tutti si consideri i c.d. punitive damages, cioè un risarcimento superiore al danno subito, a scopo punitivo appunto, non previsti dalla nostra legge.