La mediazione obbligatoria – 26 settembre 2013 –

A distanza di neppure un anno dalla bocciatura da parte della Corte Costituzionale con sentenza n. 272 dello scorso 6 dicembre 2012, è riapparsa la mediazione obbligatoria che, dal 21 settembre, torna a rappresentare una fase necessaria (in gergo tecnico-giuridico si parla di “condizione di procedibilità”) rispetto all’introduzione di un giudizio in molte materie del diritto civile.

Il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (poi convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98) ha infatti reintrodotto il controverso istituto, non senza alcune sostanziali modifiche che, tuttavia, non ne hanno alterato il senso, né tantomeno le finalità.

Pur essendo la “nuova” mediazione verosimilmente più logica, funzionale e coerente rispetto alla “vecchia”, c’è da dire che residuano le ragioni di perplessità in ordine alla compatibilità dell’istituto rispetto ai principi sanciti dalla nostra Carta Costituzionale, che riconosce espressamente il diritto inviolabile dell’individuo di “agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.

L’obbligatorietà di un “filtro” preliminare rispetto al ricorso all’autorità giudiziaria che la legge riconosce come competente a decidere mal si concilia, a parere di chi scrive, con tale principio, dalla valenza assoluta ed inderogabile.

Al di là dei profili di dubbia costituzionalità dell’istituto, svolgendo considerazioni di carattere prettamente pratico, non si può non evidenziare come, nella sostanza, la mediazione “obbligatoria” si sia già dimostrata anche poco efficace rispetto alla propria dichiarata finalità, vale a dire quella di ridurre sensibilmente il contenzioso civile.

La spiccata propensione degli italiani a risolvere giudizialmente ogni bega, sinanche banale, rappresenta ormai un dato inconfutabile: siamo, dopo la Russia, il paese europeo “più litigioso”.

Un numero molto elevato di procedimenti in entrata si traduce, com’è ovvio, in una crescente difficoltà di definire i giudizi pendenti in tempi accettabili, minando così il principio del “giusto processo”.

Ora, se da un lato non si può dubitare che la nostra giustizia civile versi in uno stato comatoso e, quindi, che la rotta debba immediatamente essere invertita, dall’altro risulta evidente, quantomeno dalla precedente esperienza, che le mediazione non può certamente essere considerata la panacea dei mali che affliggono il sistema giudiziario italiano.

Diciamo che quando tutte le parti si sono presentate davanti ad un mediatore, non di rado l’incontro si è concluso con una conciliazione. Il problema, tuttavia, è proprio che nella stragrande maggioranza dei casi la volontà di conciliare è mancata del tutto o, nella migliore delle ipotesi, non è risultata condivisa.

In altri termini, senza la promozione di una vera e propria cultura conciliativa, nel nostro Paese non vi sono margini per ridurre il numero dei procedimenti pendenti attraverso tale via, a prescindere dalla sussistenza o meno di una legge che preveda l’obbligatorietà del tentativo di mediazione tra le parti.