La funzione sociale dei giudici e la deregulation su Avetrana – 4 agosto 2016

Ha suscitato non poco stupore apprendere che a distanza di oltre un anno dalla sentenza Scazzi del 27 luglio 2015, i giudici della Corte di Appello non hanno ancora depositato le motivazioni.

Eppure non si tratta di un episodio isolato poiché frequentemente i termini non vengono rispettati tanto per le sentenze penali che per quelle civili, come sa bene l’avvocato Franco Coppi che nel processo del delitto di Avetrana difende Sabrina Misseri, una delle due imputate dell’omicidio della giovane Sarah Scazzi, il quale, avendo preso a cuore la difesa al punto di dichiarare che “è l’unica ragione per cui continuo a fare questo mestiere”, si è spinto a denunciare pubblicamente che sono stati “violati i diritti della difesa”.

Non la pensano allo stesso modo i giudici della Cassazione, piuttosto orientati a ritenere che “il ritardo anche sistematico e non saltuario nel deposito dei provvedimenti giudiziari non integra di per sé illecito disciplinare ove non sia sintomo di mancanza di operatività, ma determinato da un carico di lavoro eccessivamente gravoso”.

Non è dato di conoscere quale sia il carico giudiziario dei giudici interessati, ciò nondimeno è legittimo chiedersi se si arriva a ritardare il deposito di provvedimenti anche in uno dei casi giudiziari più eclatanti degli ultimi anni, cosa può succedere per gli altri che non godono dello stesso privilegio mediatico.

Non sarà così, ma l’impressione di noi cittadini comuni è di una quantomeno scarsa considerazione per le conseguenze anche sociali che tali comportamenti omissivi determinano: in primo luogo la sfiducia nell’organo che impersonando la funzione giurisdizionale riveste per antonomasia una posizione di terzietà e di imparzialità, ma anche di autonomia ed indipendenza, come stabilisce l’art. 101 della Costituzione, che non può in nessun caso significare mancato rispetto per le regole.

È innegabile che il carico della Magistratura del nostro Paese sia superiore alla media europea, a fronte di un organico inferiore a quello di altri omologhi; in Italia, infatti, ci sono circa 16 giudici (fra togati e onorari) ogni 100 mila abitanti; in Spagna 27, in Francia 55 e nel Regno Unito 52.

Anche per questa ragione, come viene ribadito da decenni, la riforma della giustizia deve tener conto delle depenalizzazioni nel settore penale e della degiurisdizionalizzazione in quello civile, in modo che i giudici possano occuparsi delle questioni più rilevanti.

Detto ciò, dobbiamo convenire che la giustizia non funziona come dovrebbe. Non è un caso che la fiducia degli italiani nella Magistratura si attesti da tempo alla percentuale non esaltante del 35%, e che nel solo settore penale gli errori giudiziari accertati dal 1992 ad oggi, cioè da quando è stato introdotto l’istituto per la riparazione per ingiusta detenzione, siano ormai giunti all’impressionante ed insopportabile numero di 24 mila.

Certo è imprescindibile intervenire riducendo e semplificando le regole se si vuole preservare il principio di certezza del diritto, ma è altresì necessario riconsiderare la formazione dei giudici in una società in perenne cambiamento e comunque ben diversa da quella precedente agli anni sessanta del secolo scorso, a partire dai quali si è sempre più affermato il potere del magistrato di interpretare la legge dopo che per lungo tempo, dalla rivoluzione francese del 1789, è stato considerato “la bocca della legge”, ovvero semplicemente il tramite della regola.

Il punto è che non sempre la legge è in sintonia con l’evoluzione sociale ed anzi frequentemente si sclerotizza, cosicché spetta in primo luogo al giudice enucleare un loro nuovo rapporto considerando che, pur rimanendo identica la lettera della legge, deve essere individuato tra i tanti significati possibili quello che più di altri sia in linea con il momento storico contingente.

In questo si esplica la funzione sociale del giudice che è, al pari di quella giurisdizionale, di straordinaria rilevanza in quanto essenziale ad evitare il rischio della ibernazione sociale ed utile a porre il giudice e la società sulla stessa lunghezza evolutiva.