Il nervo (sempre più) scoperto della fiducia nella giustizia – 20 ottobre 2016

C’è stato un tempo, apparentemente lontano un’era geologica ma in realtà risalente a poco più di un ventennio, in cui gli italiani avevano una grande fiducia nella giustizia.
Era il 1992 e più del 60% della popolazione, secondo i sondaggi pressoché univoci dell’epoca, mostravano molto consenso per “Tangentopoli”, l’inchiesta a tutti conosciuta come “Mani Pulite” che avrebbe finalmente espunto dal nostro Paese la corruzione e, più in particolare, il perverso rapporto tra il mondo politico e quello dell’imprenditoria del malaffare.
Esaminando oggi la questione è alquanto evidente che la fiducia all’epoca accordata alla giustizia, fondasse più che sull’effettivo accertamento di responsabilità, su un’aspettativa degli italiani perché si superassero, se non definitivamente almeno in larga misura, i difetti radicati della stessa come, solo per citarne alcuni, la lentezza dei processi civili e penali, l’impunità largamente diffusa e l’incertezza nell’applicazione delle leggi.
Forse proprio per tale aspettativa, evidentemente tradita, assistiamo ad un costante stillicidio di perdita di fiducia nella giustizia giunta ormai ad una fase talmente bassa al punto che, come ha evidenziato il Procuratore Generale di Palermo in occasione della cerimonia del corrente anno giudiziario, alcuni reati come estorsioni e usura non vengono neppure più denunciati per senso di sfiducia e rassegnazione. Altri, come quelli contro la pubblica amministrazione, per paura di ritorsioni di tipo amministrativo.
Si chiedeva inoltre, il Procuratore Generale di Palermo, quanta giustizia possa riuscire effettivamente a dare questo sistema.
La questione è centrale poiché, come è noto, coinvolge numerosi settori vitali, tra i quali l’economia. In questo caso, il deficit di fiducia nel sistema giudiziario si traduce in un’inevitabile perdita di investimenti in Italia quantificabile, secondo recenti sondaggi, in circa un miliardo di euro l’anno.
Certo non può negarsi che le responsabilità derivino da una forte carenza strutturale dell’amministrazione giudiziaria. I 139 tribunali italiani sono afflitti da evidenti scoperture di organico, benché necessiterebbero di essere meglio dimensionati per fare fronte all’incessante carico di lavoro, anche per evitare che i ritardi nella definizione dei processi continuino a determinare una doppia penalizzazione: per le persone direttamente interessate alla vicenda giudiziaria e per lo Stato, cioè a dire sempre noi, che sopporta un costo rilevante in termini di indennizzi. Basti pensare che nel decennio 2005 – 2015 oltre 25 milioni di euro sono stati liquidati, in base alla Legge Pinto, per indennizzi conseguenti alla violazione del termine ragionevole di durata del processo. Somme che potevano ben essere investite per la risoluzione di tali problematiche.
Tuttavia è possibile alleggerire le sofferenze strutturali sottraendo al vaglio della giustizia numerose questioni, sia di ordine civile che penale, che potrebbero essere risolte in via amministrativa o anche in sede di autoregolamentazione da parte di organismi, pubblici o privati, a cui appartiene il soggetto che si assume possa avere commesso una qualche violazione.
Ma l’aspetto più rilevante è la necessità di recuperare la fiducia perduta nella giustizia e ciò è possibile, innanzitutto, prendendo atto dei dati reali piuttosto che continuare, come purtroppo fanno alcuni componenti della magistratura, a difendere ad oltranza un sistema, quello giudiziario, che è evidentemente fragile e dall’andamento ondivago.
Le assoluzioni ovvero i proscioglimenti recenti, ultimo quello relativo al caso Mediatrade, in cui la Cassazione, senza neanche decidere per il rinvio, ha assolto i vertici Mediaset dopo che gli stessi erano stati scagionati in primo grado e condannati in appello, la dicono lunga su ciò che inevitabilmente siamo indotti a supporre in merito all’errore giudiziario. Un pericolo che incombe su tutti noi e che pur riguardando qualsiasi settore del diritto è particolarmente dannoso per quello penale poiché incide, in molti casi, sul bene supremo delle persone, cioè sulla loro libertà.
I rimedi non possono che partire dalla ineludibile fallibilità del giudice che, proprio per tale ragione, sempre dovrebbe essere orientato alla maggiore cautela possibile.