Gratta, gratta ma non sempre vinci – 4 marzo 2010 –

Moltissimi italiani quotidianamente, confidando nella buona sorte, acquistano biglietti delle sempre più numerose e variegate lotterie istantanee.

Speranzosi si accingono poi, contestualmente o quasi all’acquisto, a “grattare” i cartoncini, ignari tuttavia che per ottenere la tanto agognata vincita non basta il placet della dea bendata, ma occorre altresì che il codice del tagliando fortunato, o presunto tale, sia incluso nel novero di quelli vincenti in precedenza stilato dall’istituto Poligrafico dello Stato e depositato presso uno studio notarile.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza numero 3588 del 10 febbraio scorso, infatti, ha rigettato il ricorso presentato da una malcapitata scommettitrice bresciana che, rimasta vittima dell’errore di stampa dei tagliandi “sette e vinci” in precedenza acquistati, aveva a suo tempo deciso di far valere giudizialmente le proprie ragioni nei confronti dell’Amministrazione finanziaria dello Stato, reclamando la vincita “apparente” di trenta milioni delle vecchie lire.

Nel particolare, alla giocatrice era stata subito negata la gioia di incassare il premio sul presupposto che i numeri crittografati relativi ai propri tagliandi, impressi nell’apposita striscia posta sotto lo spazio recante l’avvertenza “attenzione non grattare qui”, non sarebbero in realtà risultati vincenti.

I Giudici di Legittimità, nel confermare la decisione precedentemente emessa dalla Corte di Appello di Brescia, hanno difatti stabilito che i biglietti in parola avrebbero la natura di “titoli impropri” e, pertanto, lo scommettitore maturerebbe il proprio diritto soggettivo all’erogazione del premio non per la mera sussistenza di una “combinazione” vincente, ma perché le regole del contratto di lotteria da lui stesso accettate glielo attribuiscono in presenza di taluni presupposti, anche esterni al tagliando medesimo.

Nelle lotterie istantanee – a differenza di quelle tradizionali – la vincita non è infatti subordinata all’estrazione, “ma si verifica quando il giocatore viene in possesso di un biglietto che non soltanto deve recare la combinazione vincente, ma deve anche presentare un codice di validazione corrispondente ad uno dei codici segreti preindividuati e inseriti nelle liste depositate presso un notaio”.

Gli errori di stampa o, per meglio dire, le imperfezioni dei mezzi attraverso i quali la giocata viene attuata sarebbero irrilevanti nel caso di specie, posto che il “gratta e vinci” non potrebbe astrattamente essere ricondotto ai contratti di gioco e scommessa, ma rappresenterebbe una forma di “lotteria autorizzata”.

Conseguentemente il gestore, peraltro chiamato a rispondere verso gli acquirenti soltanto nei limiti del montepremi precedentemente messo loro a disposizione, “non è tenuto a corrispondere il premio al possessore del tagliando apparentemente vincente, ma risponde nei suoi confronti a titolo di inadempimento contrattuale, e può pertanto essere tenuto al solo risarcimento dei danni pari al costo del biglietto stesso, salvo gli ulteriori danni che questi assumesse e provasse, come conseguenze dell’errore di stampa”.

Nessuna tutela, dunque, per le legittime aspettative di incasso del premio in denaro da parte della sventurata scommettitrice, ma soltanto la magra – e beffarda – consolazione della restituzione del prezzo dei tagliandi acquistati illo tempore.