Famiglie virtuose – 19 agosto 2010 –

Le ragioni che hanno impedito all’Italia, nonostante il suo debito pubblico stellare, di essere schiacciata dalla crisi economica come è accaduto ad altri paesi, sono in larga parte da ascrivere al tasso di indebitamento delle famiglie che risulta essere tra i più bassi dell’aria Ocse. D’altra parte, da tempo gli analisti hanno evidenziato che la mera cifra del debito pubblico ha per molto tempo indotto a far ritenere il nostro Paese più malato di quanto in realtà fosse.    Appare convincente l’orientamento volto a ritenere che il debito pubblico non debba essere misurato solo in percentuale sul Pil ma riparametrato anche con il debito privato. A riprova di ciò si consideri che gli Stati Uniti, Gran Bretagna, Irlanda e Spagna, notoriamente caratterizzati da una situazione finanziaria privata dissestata, hanno registrato negli ultimi anni, una forte crescita del Pil, le cui cause possono essere spiegate sia per gli elementi virtuosi delle economie di quei Paesi ma anche, forse soprattutto, dalla esplosione dell’indebitamento privato strettamente correlato con la bolla immobiliare e finanziaria e, non ultimo, dal credito al consumo.

Oggi, contrariamente dagli anni 1995 – 2005, non si osserva il solo debito pubblico per comprendere l’equilibrio finanziario di una nazione posto che, a ragione, una considerevole rilevanza viene conferita anche al cosiddetto debito aggregato rappresentato, in larga parte, dal debito delle famiglie. La consapevolezza che proprio l’eccesso di credito del settore privato abbia contribuito, se non determinato, la crisi economica e finanziaria attuale, ha spinto alcuni Paesi, Stati Uniti in testa, ad interventi pubblici volti a sostituire l’indebitamento privato che colpevolmente è stato lasciato crescere tanto da mettere in serio rischio i sistemi bancari. Di questa esperienza si dovrebbe fare tesoro.

Purtroppo la ripresa mondiale appare ancora alquanto debole come può essere rilevato dagli ultimi dati sul Pil di alcuni importanti Stati. Per quanto riguarda l’Italia la situazione appare più favorevole:  la crescita, +0,6%, è di poco inferiore a quella tedesca, +0,7% ma doppia rispetto quella francese dello +0,3%. Tuttavia per le caratteristiche produttive nostro Paese, si può supporre che la vera ripresa potrà arrivare solo con l’incremento dell’export che potrà verificarsi soltanto quando sui mercati mondiali, soprattutto quelli che da sempre rappresentano i principali partners come gli USA, Gran Bretagna e la Spagna, ritornerà la fiducia.

Certamente alle riforme annunciate e in parte varate, anche se non pienamente operative, devono esserne aggiunte altre fondamentali e utili a produrre, attraverso un aumento della concorrenza, nuove risorse nell’economia. Tra queste la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Ma non basta. Deve necessariamente essere attenuato il divario tra il Nord e il Sud che rallenta, più di altri fattori, la crescita. Nel periodo 2001 – 2009 il Pil è cresciuto del +5,3% complessivamente ma, nel dettaglio, può essere rilevato che mentre al Nord l’incremento è stato del +6,3% al sud soltanto del +2%. La rilevante differenza è data dal consumo delle famiglie che nel Sud si attesta intorno ad un quinto rispetto al Nord.

Con fatica e nella consapevolezza che il percorso è ancora lungo ed impervio, possiamo e dobbiamo guardare con fiducia al futuro e considerare che alcuni spiragli di luce si intravedono in fondo al tunnel. Tuttavia c’è un importante elemento che potrebbe negativamente influire sulla ripresa. Le famiglie italiane, che come è stato detto hanno rappresentato un forte baluardo alla incidente crisi economica, probabilmente proprio in ragione di quest’ultima, sono sempre più indebitate. Nei primi tre mesi 2010 il buco è cresciuto di quasi 25 miliardi, vale a dire del 3% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Non si può  negare che a pesare siano soprattutto i mutui, aumentati del 2,6% nell’ultimo anno, ma è certo che l’esponenziale crescita debitoria è la conseguenza di un sempre maggiore utilizzo del credito al consumo. I prestiti a breve periodo, svolgendo una valutazione su base annua, sono lievitati da 55.830 a 61.310  miliardi di euro. Un aumento del 9%. È un fenomeno, quello del credito consumo, sul quale bisogna intervenire senza tentennamenti per ricondurre l’Italia nell’alveo virtuoso in cui si trovava fino a poco tempo fa. Nel 2003 il rapporto tra i debiti finanziari delle famiglie e Pil era pari al 25% a fronte del 52% della media europea e dell’86% di quella statunitense.

Di recente sono state approvate delle nuove norme che, recependo la direttiva europea 2008/48C, dovrebbero determinare una rivoluzione nel settore del credito consumo. D’altro canto è condivisibile che una maggiore trasparenza sulla pubblicità inerente il lancio di prodotti finanziari non possa che costituire un ulteriore garanzia per il consumatore, così come è bene che a quest’ultimo venga data la possibilità di poter recedere, in caso di inadempimento del fornitore, dal correlato contratto di finanziamento per l’acquisto di quel bene o servizio. Ciò nondimeno è inderogabile intervenire per frenare il cumulo debitorio soprattutto quando lo stesso è palesemente sovradimensionato rispetto alle effettive capacità economiche delle famiglie . L’aumento, negli ultimi sette anni, della cessione del quinto dello stipendio è cresciuta del 137%; dato molto indicativo se si considera che questa è soltanto una delle modalità di acquisizione di credito, al quale se ne aggiungono altre.

Solo contenendo la crescita del debito delle famiglie, che in Italia è ancora inferiore ad altri Paesi attestandosi al 57% del reddito disponibile a fronte dell’80% francese e il 92% dei tedeschi, potremmo effettivamente e verosimilmente prima di altri uscire della crisi.