Famiglia un vuoto normativo che l’Italia deve colmare – 23 luglio 2015 –

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nei giorni scorsi ha condannato l’Italia per la violazione del diritto “al rispetto della vita familiare e privata” di tre coppie omosessuali, sul presupposto che la tutela legale esistente nel nostro Paese per le unioni tra persone dello stesso sesso “non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di una coppia impegnata in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile”.
In sostanza, i giudici di Strasburgo hanno ravvisato l’insussistenza di adeguate forme di tutela per questo tipo di unioni, evidentemente discriminate rispetto alle relazioni di tipo eterosessuale.
La decisione, assunta all’unanimità dalla Corte, diverrà definitiva entro i prossimi tre mesi se il nostro Esecutivo non chiederà un rinvio alla Grande Camera per un riesame della vicenda.
Al di là del clamore che una condanna tanto grave comprensibilmente ha suscitato, con il conseguente ampio dibattito che sta investendo il mondo politico, è appena il caso di evidenziare che la sentenza della Corte Europea non è giunta inaspettata.
Il continuo silenzio del nostro legislatore in materia di riconoscimento delle unioni omosessuali è ormai divenuto assordante.
La tematica, in un certo senso, appare paradigmatica anche di altre questione relative ai diritti civili (si pensi alla famiglia “di fatto” e al “testamento biologico”, solo per citare gli esempi più noti e attuali) che il nostro Parlamento, con una sistematicità che rasenta quasi l’ostinazione, da tempo non considera.
Oltre a complicare oltremodo il lavoro degli operatori del diritto, chiamati sempre più di frequente a supplire “in via interpretativa” alle carenze normative, l’oggettiva incapacità (ovvero la mancanza di volontà) del nostro legislatore di approntare una disciplina positiva su questi temi costituisce un vero e proprio vulnus per il nostro ordinamento, caratterizzato da vuoti legislativi sempre più evidenti rispetto ad altri paesi europei che, con tutto il rispetto, non possono vantare una tradizione giuridica neppure comparabile alla nostra.
Rifuggendo da semplificazioni eccessive, si potrebbe quasi affermare che attualmente, soprattutto in certe materie, il nostro è un Parlamento “gestante” ma non “partoriente”, dove si discute molto ma si legifera poco (per non dire nulla).
Fuor di metafora, è innegabile che al giorno d’oggi la Camera dei Deputati e il Senato appaiano luoghi più inclini a favorire dibattiti che ad assumere decisioni, peraltro sempre più spesso concretamente demandate all’Esecutivo, a sua volta sorretto da una maggioranza parlamentare eterogenea o, per meglio dire, non caratterizzata da una comune identità politica.
Ecco quindi che la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, oltre ad evidenziare un vuoto normativo ben visibile e noto a tutti, rappresenta anche una fedele istantanea delle contraddizioni e delle anomalie che il nostro sistema politico sta attualmente vivendo.