Divorzio breve, bastano sei mesi ma si poteva fare meglio – 9 luglio 2015 –

Da poco più di un mese è in vigore la legge sul c.d. “divorzio breve” (L. 55/2015), che ha previsto una sensibile riduzione dei termini legislativi per proporre domanda di scioglimento del matrimonio rispetto alla disciplina previgente.
Per dirsi definitivamente addio, infatti, non occorrono più tre anni dalla data della separazione, ma basta un solo anno. Il termine, peraltro, può essere addirittura dimidiato se la separazione è consensuale. In altre parole, se moglie e marito decidono di separarsi di comune accordo, sono sufficienti solo sei mesi per divorziare.
Per quanto non siano da trascurare le modifiche in tema di scioglimento della comunione legale tra i coniugi (prima si realizzava solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, mentre oggi si consegue di fatto immediatamente, vale a dire quando il giudice autorizza la coppia a vivere separatamente), la novità di maggiore rilievo della L. 55/2015 sta proprio nella diminuzione marcata dei tempi per conseguire lo scioglimento del rapporto matrimoniale o, per meglio dire, per proporre il relativo ricorso.
A scanso di equivoci, infatti, è bene chiarire che la novella legislativa abbrevia unicamente i termini per presentare la domanda, ma non incide minimamente sugli aspetti sostanziali e processuali della materia.
Si riducono, in pratica, solo i tempi per avviare il procedimento, ma restano invariati quelli per ottenere la sentenza.
In tale prospettiva, parlare di divorzio “breve” rappresenta certamente un ossimoro se si considera che i nostri procedimenti di scioglimento del matrimonio risultano, anche a causa delle numerose criticità e problematiche che notoriamente affliggono la giustizia civile italiana, tra i più prolissi nell’ampio panorama europeo.
Per una sentenza di divorzio nel nostro Paese occorrono in media 676 giorni, mentre in Germania ne bastano poco più di 300, in Spagna 283 e in Inghilterra addirittura meno di 200.
Oltre a non modificare gli aspetti procedurali, la nuova disciplina non incide neppure sui presupposti sostanziali per richiedere lo scioglimento del matrimonio, lasciando del tutto immutato il rapporto di necessaria consequenzialità tra separazione e divorzio, assente nella stragrande maggioranza dei paesi europei, con il rischio di generare macroscopiche storture sotto il profilo applicativo.
A seguito della modifiche legislative recentemente introdotte, infatti, saranno sempre più concrete le possibilità di frequenti e paradossali “sovrapposizioni” tra separazioni giudiziali e divorzi, promuovibili a distanza di un anno dalla prima udienza della separazione che, tuttavia, risulterà verosimilmente ancora pendente per la soluzione delle questioni economiche e relative ai figli.
Oltre a ridurre l’effetto “acceleratore” auspicato dal legislatore, questa anomalia potrebbe produrre ulteriori incertezze sotto il profilo interpretativo, evitabili con un minimo di lungimiranza.
Si poteva, dunque, certamente fare meglio.