Intercettazioni e stampa, i nodi della riforma del processo penale – 6 agosto 2015 –

Si preannunciano anche dopo l’estate giornate calde, per non dire bollenti, per il disegno di legge per la riforma del processo penale, che dopo il via libera della commissione Giustizia della Camera, sarà oggetto di una discussione parlamentare che, per quanto è dato di intuire, sarà tutt’altro che pacata.
Il disegno di legge in questione, infatti, contiene al suo interno anche la delega all’Esecutivo per disciplinare l’uso delle intercettazioni da parte dei magistrati e, soprattutto, limitare la possibilità di divulgazione delle stesse da parte degli organi di stampa.
Sono proprio questi gli aspetti più controversi e dibattuti del provvedimento o, per meglio dire, di un emendamento volto ad introdurre pene più severe (si parla della reclusione fino a quattro anni) per chi “carpisce” e divulga conversazioni in modo fraudolento con registrazioni audio o riprese video, al fine di arrecare un danno alla reputazione o all’immagine altrui.
La disposizione, immediatamente definita “legge bavaglio”, ha sollevato numerose proteste e indotto autorevoli esponenti del Governo a predicare cautela, evidenziando che la riforma non sarà certamente animata dalla volontà di perseguire o ridurre al silenzio la stampa.
In altri termini, al netto delle contrastanti posizioni di esponenti della stessa maggioranza, fermo restando che potrà essere soltanto il futuro dibattito parlamentare a chiarire quali saranno gli scenari che si delineeranno in materia, sembra ragionevole ritenere che per la libertà di stampa e il giornalismo di inchiesta non vi saranno “bavagli” di sorta.
Quello che si vuole limitare, a quanto pare, è unicamente l’uso distorto e con finalità denigratorie delle informazioni captate al di fuori dei binari legali di utilizzabilità e divulgabilità dei dati acquisiti con l’utilizzo di queste tecniche di indagine.
Il problema, pertanto, non sarebbe l’intercettazione in sé, mezzo di indagine irrinunciabile e indispensabile che non deve e non può essere limitato, quanto piuttosto la difficoltà di conciliare diversi principi democratici come il diritto alla privacy, la segretezza delle indagini e il diritto di cronaca.
Ecco quindi che è lecito domandarsi se è davvero necessaria la promulgazione di una nuova ed ulteriore legge per garantire l’esigenza di bilanciamento tra questi diritti inviolabili, posto che al di là delle norme che disciplinano attualmente le intercettazioni (in materia non vi è, infatti, alcun vuoto legislativo), nel nostro Paese la diffamazione, anche a mezzo stampa, e la rivelazione di segreti d’ufficio integrano già gli estremi di reati penali.
In definitiva, piuttosto che individuare nuove fattispecie delittuose sarebbe forse opportuno ripensare prima le disposizioni attualmente vigenti, magari attraverso la previsione di aggravanti ad hoc o, ancor più semplicemente, perseguire i colpevoli di tali reati di con la massima determinazione.