Famiglia e diritti – 15 agosto 2008 –

Gli osservatori della politica americana più attenti concordano nel ritenere che la vittoria di George Bush nel 2004 sia stata determinata dalla strategia elettorale di far indire, in molti stati, referendum sui temi dell’aborto, delle cellule staminali e dei matrimoni gay. La diffusa avversione nei confronti del riconoscimento di tali diritti indusse molti cittadini, soprattutto della destra religiosa, a votare determinando così la vittoria repubblicana. Analoga situazione potrebbe verificarsi nella prossima tornata elettorale a causa di una sentenza della Corte Suprema della California del 15 maggio scorso che ha annullato la legge di quel paese nella parte in cui prevedeva che i matrimoni sono possibili solo tra un uomo e una donna. Infatti il prossimo 4 novembre i californiani saranno chiamati ad indicare il presidente nonché a rispondere al quesito referendario di approvazione o contrarietà ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. Per la cronaca i sondaggi danno, ad oggi, una indicazione contraria a quella del 2004. I favorevoli della legge sono il 51%, tra i quali Barack Obama, mentre i repubblicani di John McCain hanno dichiarato il loro appoggio al referendum. Anche da noi le cose sono andate spesso allo stesso modo. La questione centrale è però un’altra. Un legislatore illuminato non deve deliberare sull’onda dell’emotività popolare, quanto piuttosto decidere liberamente soprattutto sui temi della tutela dei diritti civili. Il fenomeno della c.d. famiglia di fatto o, se vogliamo diversamente definirla, della convivenza more uxorio, è uno di questi anche se, nonostante ciò, ha ricevuto nel nostro ordinamento dei riconoscimenti unicamente a seguito di gloriose sentenze della Corte Costituzionale che, a più riprese, ha ritenuto di tutelare i conviventi, in molti casi quello più debole, in questioni di notevole incidenza esistenziale. Il diritto di succedere nel contratto di locazione, l’inclusione della persona stabilmente convivente tra quelle che debbono essere preferite in caso di amministrazione di sostegno, l’equiparazione del convivente al coniuge al fine degli ordini di protezione contro gli abusi familiari e per il godimento della casa coniugale, oltre che per il risarcimento dei danni per l’uccisione del convivente, tanto per citarne alcuni. Tuttavia, la diffusione del fenomeno non ha dato luogo ad alcun intervento legislativo. La stagione dei pacs, dei dico e dei cus appare definitivamente tramontata. L’equiparazione da più parti auspicata della famiglia di fatto con quella legittima potrebbe risultare impropria ed inopportuna, posto che anche non sposarsi, pur avviando una stabile convivenza, è una libertà fondamentale, ma nel contempo non è ulteriormente differibile una tutela piena ed effettiva dei conviventi senza attendere impulsi elettorali.