Adozioni internazionali e scelte discriminatorie – 1 luglio 2010 –

Non si può scegliere il colore della pelle di un figlio adottivo né, del pari, manifestare alcuna predilezione per una determinata etnia rispetto ad un’altra.

I Giudici della Cassazione, chiamati a pronunciarsi a Sezioni Unite nell’interesse della legge a seguito della richiesta del Procuratore Generale presso la Suprema Corte, hanno stabilito che il decreto di idoneità all’adozione internazionale non può attibuire in alcun modo rilevanza alle caratteristiche somatiche o ai dati razziali eventualmente esternati dagli aspiranti genitori.

L’antecedente logico e causale della pronuncia n. 13332 dello scorso 1 giugno è rinvenibile in un singolare decreto di idoneità all’adozione di minori stranieri assunto dal Tribunale per i minorenni di Catania, che aveva ritenuto meritevole di accoglimento l’istanza di adottanti che, in precedenza, avevano manifestato la propria indisponibilità ad accogliere bambini di pelle scura o diversa da quella tipica europea.

Le Sezioni Unite hanno osservato che il criterio guida cui deve uniformarsi ogni percorso decisionale in materia è rappresentato dall’interesse superiore del minore che, di conseguenza, va considerato come preminente “rispetto a tutti quelli astrattamente confliggenti con esso, ivi compresi quelli fondati sui desideri degli adottanti, recessivi rispetto al primo”.

Il principio di diritto enunciato dai Giudici di Legittimità, destinato certamente ad orientare la giurisprudenza futura, non lascia adito ad alcuna incertezza interpretativa.

Il rispetto dei diritti inviolabili del minore, alla luce dei principi fondamentali del nostro ordinamento, è preclusivo rispetto all’emanazione di un provvedimento di pubblica autorità che autorizzi una qualunque selezione di natura razziale.

Le stesse norme di diritto internazionale, recepite dallo Stato Italiano mediante la stipula di varie trattati e convenzioni, conducono unanimemente al medesimo risultato.

La Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma razziale, la Carta dei diritti dell’Unione Europea, il Trattato di Lisbona e la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo – soltanto per citare le fonti internazionali di maggiore rilievo – esprimono difatti la più ferma condanna nei confronti di ogni forma di discriminazione.

Da questi principi non può ovviamente discostarsi l’intera procedura di adozione internazionale, prevista e disciplinata dalla Legge n. 184 del 1983, in quanto, com’è noto, “al giudice è inibito di avallare una scelta che si pone in stridente e insanabile contrasto con i sopra richiamati principi nazionali e sovranazionali”.

Ciò posto, l’organo giudicante in simili evenienze sarà chiamato non solo a disattendere le singolari richieste degli aspiranti genitori, ma anche a porsi in concreto “il problema della compatibilità della relativa indicazione con la configurabilità di una generale idoneità all’adozione”.

È infatti di tutta evidenza che la formulazione di una simile istanza da parte dei componenti di un nucleo familiare sia di per sé sintomatica di un’inequivocabile carenza nelle capacità di accoglienza di un minore straniero.