Adeguamenti pensionistici, un caso davvero emblematico – 14 maggio 2015 –

La recente sentenza della Corte Costituzionale sugli adeguamenti automatici dei trattamenti pensionistici ha generato un moto di disapprovazione e creato non pochi malumori tra i rappresentanti delle istituzioni, chiamati a fronteggiare una spesa “imprevista”, diciamo così, di svariati miliardi di euro.
La decisione, nello specifico, ha riaperto un vecchio dibattito, evidentemente ancora attuale e mai sopito, sulla portata e sul peso delle “ingerenze” della Corte Costituzionale sulle scelte di politica legislativa dello Stato.
La questione non appare tuttavia posta nei termini più corretti, in quanto il ruolo della Consulta è proprio quello di garantire che le leggi siano rispettose dei principi dettati dalla Costituzione. Quando ciò non accade, ovviamente, la legge cessa di avere efficacia. Non si tratta, quindi, di un’interferenza indebita, ma di una funzione specifica che la Carta costituzionale riserva in via esclusiva a tale Organo.
Una decisione della Consulta, pertanto, non ha natura politica ma, inevitabilmente, incide sulle scelte politiche del legislatore, anche con implicazioni gravi – com’è avvenuto nel caso specifico – per il bilancio dello Stato.
I Giudici costituzionali, infatti, hanno ritenuto che il blocco integrale della perequazione introdotto dalla “Riforma Fornero”, operante per le pensioni superiori all’importi di euro 1.217 netti, abbia intaccato i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale.
L’adeguamento automatico dei trattamenti pensionistici, pur non avendo carattere tributario, rappresenta uno strumento di natura tecnica volto a garantire nel tempo il rispetto dei principi di adeguatezza (art. 38 Cost.) e proporzionalità del trattamento di quiescenza (art. 36 Cost.).
In questo caso, dunque, il diritto alla conservazione del valore della pensione nel corso degli anni è stato irragionevolmente sacrificato nel nome di generiche esigenze finanziarie che la riforma neppure ha illustrato in dettaglio, senza far emergere così le ragioni della ritenuta prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti dei pensionati.
Necessità di tipo finanziario che, secondo le prime indiscrezioni, potrebbero addirittura indurre il legislatore a perseverare negli errori già commessi, operando una sorta di improprio bilanciamento tra costi per lo Stato e diritti inviolabili dei cittadini, mediante l’introduzione di “correttivi” alla sentenza della Corte Costituzionale.
Indipendentemente dalla promulgazione o meno degli stessi, la vicenda è di per sé emblematica.
Appare del tutto lecito domandarsi, a questo punto, se il rapporto tra Stato e cittadino possa essere definito effettivamente paritario, come dovrebbe essere alla luce dei principi costituzionali vigenti, oppure se, per contro, quest’ultimo non sia considerato alla stregua di un mero “suddito” dell’autorità statale che, se del caso, può decidere se, quando ed in che modo uniformarsi ad una decisione della Consulta.