Riforme e consenso. Quelle strade divise – 8 dicembre 2016 –

Le valutazioni dell’esito del referendum del 4 dicembre scorso, il terzo confermativo della storia repubblicana dopo quelli del 2001 e del 2006, non possono essere semplicisticamente ricondotte nell’alveo di una bocciatura della proposta riforma costituzionale.

La lunga campagna elettorale e soprattutto il dibattito che ne è scaturito consentono, in primo luogo, di poter dire che la votazione ha riguardato più che il merito dei quesiti, il consenso ovvero il dissenso nei confronti della politica governativa che, stando ai risultati, non è apparsa gradita ad una maggioranza significativa degli italiani. Ancora prima, come si ricorderà, l’accentuata conflittualità politica che inevitabilmente si è trasferita nel Parlamento, ha impedito il raggiungimento del quorum deliberativo previsto dall’articolo 138 della Costituzione, ragione per la quale la riforma è apparsa voluta dalla maggioranza con protervia ed in via esclusiva.

L’altro importante elemento, rappresentato dal rilevante numero dei votanti, comprova che vi è una consapevole e rivendicata partecipazione dei cittadini ad esercitare direttamente la sovranità, vale a dire il potere supremo di Governo, che la Costituzione riconosce loro proprio con il primo articolo.

Ma l’interrogativo di fondo che dobbiamo porci è se il risultato elettorale possa essere considerato come la strenua resistenza di buona parte degli italiani alle modifiche della Carta fondamentale della Repubblica del 1948, oppure, come è più probabile, disapprovazione verso il metodo e il merito del referendum.

La piena consapevolezza di quest’ultimo, a ben vedere, si è rivelata essere una prerogativa di pochi, per lo più esperti costituzionalisti oppure di coloro che hanno avuto voglia, tempo e capacità per esaminare i profili giuridici e gli effetti futuri che la riforma avrebbe comportato.

Per i più, i quesiti per quanto chiari nella loro portata letterale, sono apparsi incomprensibili nel contenuto implicito, al punto da rappresentare fonte di timore di possibili peggioramenti della già precaria attuale condizione economica, sociale e, perché no, istituzionale.

Tuttavia ciò non vuol significare che la nostra Costituzione sia un totem intangibile, anzi, al contrario, gli italiani hanno ben presente la necessità di interventi di manutenzione straordinaria della stessa ed in modo particolare la parte relativa alla organizzazione ed al funzionamento del Parlamento, nonché ai rapporti di questo con le autonomie locali che a seguito della disomogeneità con la quale è stata attuata la riforma del Titolo V, ha impegnato la Corte Costituzionale non solo a dirimere numerosi contrasti giudiziari in punto alle materie di legislazione concorrente, bensì a svolgere, non di rado, una funzione legislativa che non gli è propria.

Bisogna quindi auspicare che gli esiti del referendum oltre a non incidere negativamente sulla complessiva tenuta economica del Paese, preoccupazione che sembrerebbe essere scongiurata dalla risposta dei mercati finanziari e dalle dichiarazioni rese dai governanti degli Stati dell’Unione Europea, non determini l’archiviazione del processo di revisione costituzionale iniziato negli ormai lontani anni novanta, il cui completamento è imprescindibile per uno Stato moderno.

È plausibile supporre che nella legislatura corrente non si riuscirà a preordinare né tantomeno a portare a termine alcun processo revisionale. Ciò nondimeno è auspicabile che prima di nuove elezioni vengano assunte decisioni responsabili volte non soltanto all’approvazione della legge di bilancio, per evitare che le condizioni delle componenti più fragili del Paese possano essere ulteriormente compromesse, ma anche promulgare una nuova legge elettorale poiché, com’è di tutta evidenza, quella in essere è stata strutturata in previsione di una diversa funzione delle Camere parlamentari rispetto a quella vigente.

È il primo passo utile a contribuire al ripristino di un dialogo tra coalizioni oggi fortemente contrapposte, affinché, in un futuro prossimo, possa essere riaperto il tema delle riforme che in un clima di maggiore condivisione ed equilibrio, potranno essere portate a compimento.