Il reato di omicidio stradale è diventato necessario – 25 agosto 2011 –

Stando alle rilevazioni recentemente rese note dall’Istat, nel solo anno 2010 in Italia gli incidenti stradali con lesioni a persone sono stati più di 200.000 e hanno causato poco meno di 4.000 morti e 296.000 ferimenti di diversa entità.

Vale a dire che ogni giorno sulle strade e autostrade del nostro Paese mediamente perdono la vita 11 persone, mentre più di 800 restano ferite in maniera più o meno grave; nonostante la diminuzione dei sinistri registrata rispetto ai dodici mesi precedenti (-3,9%) e, conseguentemente, delle vittime (-3,7% delle lesioni e -5,6% dei decessi), si tratta ancora di un vero e proprio bollettino di guerra.

Tra le cause prevalenti di queste stragi che si ripetono con triste sistematicità vi è, senza dubbio, la scarsa considerazione dei limiti di velocità e il mancato rispetto delle più elementari norme di sicurezza stradale.

Una quota considerevole di questi incidenti, purtroppo, è però direttamente riconducibile all’uso o, per meglio dire, all’abuso di sostanze alcoliche, nonché all’utilizzo di droghe da parte di quanti, noncuranti dei rischi per l’incolumità propria e quella altrui, si mettono al volante pur senza esserne minimamente in condizione.

I casi drammaticamente balzati agli onori delle cronache in questi giorni hanno riacceso il dibattito, animato dalle recenti proposte di rappresentanti del mondo politico e non, in ordine alla possibilità di introdurre una figura di reato ad hoc, il c.d. “omicidio stradale”.

In altri termini, alle specifiche fattispecie di delitto contro la vita umana già tipizzate e penalmente perseguite dal nostro legislatore (omicidio volontario, colposo e preterintenzionale) se ne aggiungerebbe una nuova, finalizzata a sanzionare – in maniera più severa rispetto ad oggi – i colpevoli di omicidi commessi alla guida di un autoveicolo, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o alcoliche.

Dichiarato intento dei promotori, infatti, è quello di evitare la riconducibilità di un crimine tanto grave nell’alveo dei confini dell’omicidio colposo, sinanche aggravato, con conseguente applicazione di misure sanzionatorie ritenute troppo lievi e, comunque, non proporzionate rispetto all’estremo disvalore e alla pericolosità della condotta.

Della necessità di un simile intervento normativo, a parere di chi scrive, non è dato di dubitare.

Non si tratta, come polemicamente sostenuto da alcuni, di voler attribuire a una norma giuridica la funzione – che, certamente, non le è propria – di voler assecondare gli istinti vendicativi dei familiari delle vittime ma, semplicemente, di garantire l’applicazione di misure più rigorose rispetto a quelle attuali nei confronti di soggetti che, pienamente consapevoli delle proprie condizioni di alterazione psico-fisica, decidono comunque di mettersi alla guida e accettano, di conseguenza, la possibilità di poter causare un incidente, mettendo a repentaglio le vite altrui.