Una nuova cultura che ridisegni l’emergenza – 26 gennaio 2017 –

La forte ondata di maltempo che ha portato neve e ghiaccio sul Centro Italia aggravando di non poco le difficoltà delle persone e dei luoghi colpiti dai terremoti di agosto ed ottobre e la slavina che il 18 gennaio scorso si è abbattuta sull’Hotel Rigopiano di Farindola, il cui terribile bilancio in termini di perdite di vite umane non è ancora giunto a consuntivo, ha definitivamente convinto il Governo della necessità di concedere maggiori poteri alla Protezione Civile attraverso un annunciato decreto che dovrebbe vedere la luce nei prossimi giorni.

Al netto delle polemiche che accompagnano questa virata “antiburocratica” che ha spinto il Presidente dell’Autorità Anticorruzione ad ammonire sul pericolo di un ritorno “a una politica dalle mani libere”, il punto certo è che a distanza di venticinque anni dalla Legge 225 del 1992 istitutiva del Servizio nazionale della Protezione Civile, è tempo di promuovere ed attuare una nuova cultura della stessa.

Dai tempi di Giuseppe Zamberletti all’apice della concentrazione delle competenze nelle mani di Guido Bertolaso e anche successivamente al ridimensionamento del servizio con il Governo Monti, la Protezione Civile è incentrata sui concetti di previsione e prevenzione dei rischi nonché sulla distribuzione delle competenze sui vari livelli di governo in ragione della tipologia dell’evento che si abbatte in un determinato contesto territoriale.

Un sistema articolato che coinvolge vari soggetti dislocati sul territorio sui quali, o per meglio dire sulla loro professionalità e competenza si fa leva per fronteggiare una determinata catastrofe.

A ben vedere, quello attuale è un modello sostanzialmente identico a quello preordinato al momento della introduzione della legge, caratterizzato dalla possibilità di attivare i livelli di governo superiore soltanto nel caso in cui le problematiche non possano essere efficientemente contrastate dalle amministrazioni più prossime alle popolazioni e ai luoghi interessati.

Tuttavia, dobbiamo considerare che la Protezione Civile anche grazie ad un maggiore riconoscimento giuridico del bene ambiente, si può oggi annoverare tra i diritti fondamentali della persona la cui salvaguardia costituisce compito fondamentale dello Stato.

Per conseguire tale finalità, è in primo luogo necessaria una semplificazione del sistema dal punto di vista strutturale e organizzativo, al fine di consentire piena collaborazione tra i vari operatori implicati nel contrasto alle emergenze avendo ormai consapevolezza che non soltanto il tempismo ma anche l’assunzione delle responsabilità sono fattori determinanti per scongiurare le drammatiche conseguenze spesso legate al verificarsi di un disastro. Anche nelle ultime tragiche esperienze sono emerse carenze nell’attuazione di una rapida ed efficace gestione delle calamità e di una corretta informazione e conoscenza dei rischi connessi al territorio, elementi che se adeguatamente considerati avrebbero contribuito ad evitare o quantomeno a ridurre la gravità delle conseguenze.

È quindi necessaria la (ri)definizione dei ruoli, utile non soltanto ad affrontare e possibilmente risolvere le problematiche in concreto ma anche a rendere chiari gli effetti giuridici dell’operato di chi si trova a svolgere una certa attività, al fine di evitare la purtroppo frequente evanescenza della responsabilità dei soggetti chiamati ad arginare i danni.

Ovviamente per giungere ad un effettivo cambio di passo culturale del modello di Protezione Civile bisogna incidere sul nostro ordinamento giuridico che ancora fonda su un approccio precipuamente di tipo accusatorio, volto soprattutto ad individuare il responsabile dell’evento calamitoso piuttosto che proteso anche ad eliminare gli errori generati dal procedimento utilizzato.

Non c’è dubbio che ove ne ricorrano i presupposti, si debba stigmatizzare l’operato del singolo ma al contempo non è possibile tralasciare di analizzare l’inadeguatezza del modello organizzativo in funzione dei beni che lo stesso intende presidiare.

Se non si interverrà in tal senso, sarà difficile se non impossibile arginare la stucchevole diffusione di atteggiamenti di tipo difensivo che, al pari di quelli tenuti in ambito medico, sono finalizzati ad evitare addebiti di responsabilità del potere decisionale anziché salvaguardare i soggetti realmente bisognosi di tutela anche a detrimento delle già scarse risorse economiche disponibili.