Matrimonio gay, il legislatore italiano deve muoversi – 11 giugno 2015 –

La trascrizione di un matrimonio contratto all’estero tra due persone dello stesso sesso non è consentita dalla legislazione italiana, ma la cancellazione di un atto trascritto può essere disposta unicamente dall’autorità giudiziaria e non dal Prefetto.
È quanto deciso dal Tar del Friuli Venezia Giulia lo scorso 21 maggio con sentenza n. 228/2015 che, evidenziando l’importanza del matrimonio inteso come “atto”, ha statuito che la trascrizione nell’apposito registro delle unioni matrimoniali, una volta effettuata, può essere espunta solo in forza di un provvedimento del giudice ordinario.
La questione è stata sottoposta all’esame dei giudici amministrativi da una cittadina italiana residente in Belgio, ma iscritta all’anagrafe del comune di Udine, che aveva contratto matrimonio con una persona del medesimo sesso e richiesto (ed ottenuto) l’iscrizione nel registro dei matrimoni presso l’ufficio di stato civile del capoluogo friulano.
Il sindaco di Udine, disattendendo l’indicazione del competente Prefetto, si era successivamente rifiutato di provvedere all’annullamento della trascrizione, in seguito ordinata d’ufficio direttamente dalla Prefettura.
Il Tar, pur ritenendo la trascrizione di tale unione un atto non conforme al nostro attuale ordinamento, stante la mancanza di una norma che disciplini il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ha comunque disposto che deve essere la magistratura (e non l’autorità amministrativa) ad occuparsi della questione, a prescindere dalla “legittimità” o meno del rapporto di coniugio.
La vicenda, che potrebbe a prima vista apparire trascurabile o, per meglio dire, strettamente tecnica, è in realtà l’ennesima rappresentazione evidente del “cortocircuito” prodotto dal vuoto legislativo in materia di matrimoni tra persone dello stesso sesso.
L’assordante silenzio del nostro legislatore sul tema, oltre a complicare il lavoro degli interpreti, chiamati sempre più di frequente a supplire in via interpretativa alla mancanza di una disciplina positiva, rende molto difficoltosa l’interazione tra il nostro ordinamento e le discipline di altri paesi dell’Unione che, pur essendo alquanto variegate ed eterogenee, sono accomunate quantomeno dalla previsione di una forma di “registrazione pubblica” delle unioni che, invece, in Italia è ancora un’utopia.
Oltre che dai giudici nazionali e comunitari, un ulteriore “invito” a legiferare in materia è giunto recentemente anche da Strasburgo.
Il Parlamento UE, infatti, ha approvato proprio in questi giorni, a larga maggioranza, un rapporto sull’uguaglianza di genere, evidenziando per la prima volta in maniera esplicita la necessità di adeguare le singole normative nazionali alla “evoluzione” della tradizionale definizione di famiglia, tutelando anche le unioni tra persone dello stesso sesso.
Non resta che auspicare, a questo punto, che il monito possa essere finalmente recepito dal nostro legislatore che fino ad oggi, ad onor del vero, non ha mostrato grande interesse per queste tematiche.