Il made in Italy non è tutelato a sufficienza – 23 agosto 2012 –

Nonostante l’importanza rivestita da svariate imprese italiane nei più diversi ed eterogenei settori produttivi, ancora oggi per molti, soprattutto al di fuori dei confini nazionali, la nostra economia si identifica esclusivamente con la moda, le auto e le imbarcazioni di lusso, il buon cibo e gli arredi di pregio.

Ciò non soltanto per il lustro e l’appeal che molte delle nostre realtà imprenditoriali, più o meno recentemente, sono riuscite con merito a conquistare nei predetti settori, divenendo vere e proprie eccellenze a livello globale, ma anche per l’immagine di un certo tipo di gusto e di un’eleganza, figlia di una tradizione artistica che non ha eguali, che siamo riusciti a proiettare con successo nel mondo, grazie soprattutto al contributo di piccole e medie imprese, spesso gestite su base familiare, caratterizzate da inimitabili doti di creatività e di ingegno.

La produzione italiana è ovunque sinonimo di stile e rappresenta per il nostro Paese una risorsa sociale e culturale tanto preziosa quanto rara, in un mondo sempre più uniforme e globalizzato.

Il “Made in Italy”, in tale prospettiva, è molto più di una connotazione meramente geografica; è un insieme di valori, un brand in grado di identificare in ogni luogo e con notevole forza evocativa quel patrimonio di inventiva che ha consentito lo sviluppo, non soltanto economico, del nostro Paese.

Una simile ricchezza, tuttavia, è stata custodita tutt’altro che gelosamente nel corso di questi anni.

Il nostro legislatore, purtroppo, non è stato ancora in grado di approntare strumenti idonei a tutelare in maniera adeguata la “vera” produzione italiana a fronte della sempre più insistenti e indebite utilizzazioni del marchio “Made in Italy”, apposto abitualmente su beni prodotti al di fuori dei confini nazionali.

La normativa in vigore è frammentaria e disorganica; manca, inoltre, l’elaborazione di un concetto unitario di “Made in Italy”, dotato di una propria fisionomia giuridica e capace di garantire uniformità di disciplina in ogni settore.

Non v’è dubbio che un imprenditore possa legittimamente avvalersi della cooperazione di imprese estere, al fine di ottimizzare o, per meglio dire, contenere i costi di produzione; la scelta di svolgere le più importanti fasi di lavorazione della merce all’estero, benché pienamente conforme alla legge, non può tuttavia che precludere l’utilizzo del marchio di provenienza italiana, non solo per salvaguardare le nostra realtà d’impresa, ma anche per evidenti esigenze di trasparenza e tutela del consumatore.

La promulgazione di una legge idonea a difendere concretamente il brand “Made in Italy” è, ad ogni buon conto, una misura necessaria ma non sufficiente per garantire la piena tutela della produzione italiana. Senza una riforma del mercato del lavoro e una riduzione della pressione fiscale, produrre beni in Italia sarà sempre più difficoltoso, soprattutto per le imprese di piccole e medie dimensioni che, più delle altre, sono state colpite dall’attuale crisi economica.