L’opportunità nascosta nel terribile terremoto – 3 novembre 2016

A distanza di trentasei anni dallo spaventoso terremoto dell’Irpinia, che ha avuto la stessa devastante intensità del sisma del 30 ottobre scorso, molte persone vivono ancora in campi prefabbricati se non in fatiscenti container. Al contempo, i costi di (ri)costruzione, che ancora non è stato possibile stimare con precisione, sono lievitati a dismisura, fino a decuplicarsi come è avvenuto in alcuni casi accertati.

È difficile anche soltanto immaginare la disperazione dei tanti che ancora si consungono tra le lamiere e che non intravedono la concreta possibilità di riavere una casa vera.

A L’Aquila, dopo sette anni dal terremoto del 6 aprile 2009, i MUSP, imperscrutabile acronimo utilizzato per indicare i “moduli ad uso scolastico provvisorio”, realizzati per consentire ai bambini terremotati il rientro a scuola già nel settembre del 2009, mostrano i segni del tempo, la loro inadeguatezza e, per alcuni versi, pericolosità. Eppure nonostante la precaria condizione delle strutture “surrogato” scolastiche, ancora non sono stati costruiti edifici nuovi pur disponendo di risorse finanziarie.

Risulta infatti che dal 2013 nelle casse comunali vi siano 44 milioni di euro dedicati a queste opere che ancora non è stato possibile spendere in quanto, secondo un perverso meccanismo burocratico, prima dell’arrivo di tali risorse non si è potuto predisporre alcun progetto.

Forse proprio la circostanza che L’Aquila è tuttora una città distrutta e che tra i due terremoti, quello dell’Irpinia e quello abruzzese, nel nostro Paese altri cruenti e non definitivamente risolti ve ne sono stati, come quello umbro – marchigiano del 1997 e di San Giuliano di Puglia del 2002, i timori di quanti oggi sono stati travolti dal disastroso sisma del Centro Italia sono del tutto comprensibili. La loro resistenza a trasferirsi altrove è giustificata dal desiderio di presidiare non solo i propri beni, oppure gli animali, come nel caso degli allevatori preoccupati per la loro sopravvivenza, ma l’attività ricostruttiva che si teme possa essere, nonostante la buona volontà di ognuno, ritardata a causa di impenetrabili ragioni legate per lo più ad un esecrabile, ma purtroppo rituale, assestamento non solo delle scosse sismiche, ma anche della precarietà che il tempo, come in altri casi è avvenuto, può trasformare in una condizione stabile.

Gli eventi calamitosi di questi giorni, il cui dato più importante è la miracolosa incolumità degli abitanti dei paesi martoriati, hanno travolto le programmazioni preordinate a far fronte ai disastri del terremoto del 24 agosto scorso. Sul fronte governativo, i trecento milioni stanziati per far partire il processo di ricostruzione e la previsione degli ulteriori 4,5 miliardi inseriti nella Legge di Stabilità, sono evidentemente insufficienti a garantire il ripristino del tessuto strutturale delle città e dei borghi devastati, quando non completamente distrutti. Certo il denaro è fondamentale per la ricostruzione e non c’è dubbio che le risorse debbano essere distribuite sulla base di una pianificazione politica che selezioni le priorità, mentre allo Stato spetta di sorvegliare sul malaffare, la corruzione in particolare, ma anche sull’utilizzo delle notevoli donazioni raccolte, per le quali non vi è nessun coordinamento né, come si sa, da noi esiste la accountability, vale a dire il resoconto dettagliato di come i soldi vengono spesi.

Inoltre, ma in primo luogo, anche a costo di apparire cinici, bisogna assumere consapevolezza che dalla catastrofe possono nascere delle opportunità. Non è più tempo di dubitare che la intrinseca fragilità del nostro Paese lo espone sempre più a rischi sismici e idrogeologici per contrastare i quali non c’è altra possibilità che preordinare un piano nazionale di lungo periodo, dando vita contestualmente ad una  stabile struttura istituzionale che si curi costantemente della messa in sicurezza del nostro territorio.

Gli effetti positivi si produrrebbero non solo in termini di risparmi, poiché è ormai chiaro a tutti che ricostruire costa di più, ma anche per l’occupazione, specialmente nel settore edilizio, dove più che in altri si sono persi posti di lavoro.