L’accettazione dell’altro mondo aiuta a evitare i nemici in casa – 12 gennaio 2017 –

Le dichiarazioni del capo della polizia in ordine alla concreta possibilità che anche il nostro Paese potrebbe essere esposto ad attentati terroristici, si può verosimilmente supporre siano finalizzate ad evitare che si possa cedere ad una sottovalutazione del pericolo e conseguentemente “abbassare la guardia”.

Tuttavia è anche un’occasione che induce a riflettere sulla politica dell’immigrazione attuata in Italia ed in particolare se la stessa ha contribuito fino ad oggi, il che costituisce già un successo, ad escluderci dal novero degli Stati colpiti da attacchi terroristici. Ovviamente si tratta di valutazioni utili ad implementare lo scudo protettivo attraverso la ricognizione ed esaltazione dei presupposti che hanno determinato tale situazione di fatto, tra i quali non potrà essere annoverato il profilo di “neutralità” considerando la piena condivisione dell’Italia alle politiche di prevenzione e contrasto ai fenomeni terroristici elaborati a livello comunitario.

Diciamo subito che sarebbe riduttivo ricondurre ad una sola le ragioni dell’esclusione italiana dagli attentati; tuttavia una riflessione meritevole di attenzione è che da noi, a differenza di altri Paesi europei di immigrazione più risalente, si registra un islamizzazione più diffusa. Accanto agli stranieri musulmani, vi sono gruppi etnici di varia provenienza, circostanza che ha contribuito non poco ad evitare derive segregazioniste anche se non possiamo ignorare che le stesse sono state in larga misura contingentate altresì dalla peculiarità microscopica dell’urbanizzazione italiana che ha favorito il dialogo e la penetrabilità con le società di accoglienza.

In definitiva è accaduto che nel tempo, in modo pressoché spontaneo, si è gradualmente delineato un nuovo modello di integrazione fondato su un dialogo dinamico e di costruttivismo sociale, che ha consentito di raggiungere un alto grado di condivisione delle regole del linguaggio e che ha dato luogo a una identità culturale che costituisce un vero e proprio presidio contro l’esclusione che, non dobbiamo dimenticare, è la radice dei radicalismi.

Nel dialogo implicitamente sollecitato dalle comunità, le culture che si affermano sono il risultato di continue negoziazioni che sempre più permettono la fusione dei patrimoni artistici, del linguaggio, degli orientamenti politici e religiosi, rendendo l’entità culturale un orizzonte in formazione costante e possibile il raggiungimento di una meta ambiziosa ovvero che nessun individuo possa sentirsi discriminato in ragione della propria origine.

Altrove, dove ciò non è avvenuto, abbiamo assistito come nel caso dei pakistani nel Regno Unito e dei turchi in Germania, ad un riconoscimento formale dei diritti delle minoranze culturali ma ad un loro sostanziale isolamento che ha alimentato l’autoreferenzialità. Analogamente, il tentativo di integrazione dall’alto elaborato in Francia ha evidenziato tragiche fragilità.

Il processo di deculturazione che ha coinvolto gli immigrati francesi si è riprodotto in una crisi di identità profonda delle seconde e terze generazioni. I provvedimenti di divieto di ostensibilità dei simboli religiosi ed in generale la forte politica laicista hanno indirettamente implementato il numero di immigrati che si autopercepiscono esclusi dal discorso pubblico e conseguentemente attratti da posizioni neofondamentaliste che ritengono siano sostitutive di una identità perduta nelle società di accoglienza.

Possiamo senz’altro sostenere, alla luce di una comparazione con altri Paesi scevra da pregiudizialità politiche e religiose, che in Italia l’elaborazione di un innovativo modello di integrazione, avvenuto in linea con il nostro ordinamento giuridico che include la “differenza” nei principi di uguaglianza e ragionevolezza, si è rivelato essere uno straordinario pilastro di salvaguardia.

Ci ha insegnato che l’accettazione della diversità, intesa come manifestazione ineludibile della condizione umana, si traduce non soltanto nel rispetto ma anche nelle relazioni con l’altro che, proprio per tali ragioni, sarà indotto ad una formazione bilanciata tra libertà di religione e tutela della legalità costituzionale e dell’ordine pubblico.

In quest’ottica l’integrazione non si delinea soltanto come rispetto del principio di uguaglianza ma anche, soprattutto, come colonna della sicurezza accanto al controllo del territorio.

Uno strumento formidabile per il contrasto e la prevenzione del terrorismo che come le tragiche esperienze anche recenti, quella dell’attentato di Nizza del 14 luglio e di Berlino del 19 dicembre scorso insegnano, si nutre di odio. Sentimento che caratterizza gli attentatori, in molti casi cittadini dei Paesi colpiti, fomentato da una avvertita discriminazione.

Se si è consapevoli oltre che dell’intensificazione anche dell’irreversibilità del fenomeno migratorio, dobbiamo cogliere gli aspetti positivi dell’esperienza di questi anni per delineare una efficace progettualità legislativa che possa incidere significativamente sullo sviluppo culturale e consentirci di affrontare con adeguata preparazione le problematiche dell’immigrazione che come sappiamo possono arrivare a travolgere i nostri diritti di libertà e di sicurezza.