La scelta del sistema elettorale e il ruolo delle nostre istituzioni – 19 gennaio 2017 –

La metafora di “modernità liquida e solida” utilizzata da Zygmunt Bauman per spiegare l’incertezza che attanaglia la società post moderna, può anche valere nel rapporto tra l’elettore ed il sistema elettorale.

In altri termini ci si chiede quanto il nostro diritto al voto sia effettivamente tutelato e, soprattutto, libero e privo da qualsivoglia limitazione secondo le inviolabili prescrizioni della Costituzione ed in particolare dell’articolo 48.

É questo il tema di cui si occuperà la Corte Costituzionale il 24 gennaio prossimo quando sarà chiamata a valutare la legittimità costituzionale della nuova legge elettorale, meglio conosciuta con il nome di “Italicum”, approvata il 4 maggio scorso ed entrata in vigore nel successivo mese di luglio.

I contestati profili di incostituzionalità riguardano il premio di maggioranza e i “capolista bloccati”. La prima questione è già stata vagliata dalla Consulta con una precedente e storica sentenza del 13 gennaio 2014. In quel caso veniva contestato alla “Legge Calderoli”, cioè a quella precedente, che il premio di maggioranza dalla stessa previsto fosse attribuibile senza alcuna subordinazione al raggiungimento di una soglia minima di voti con la conseguenza che una maggioranza relativa anche molto modesta, potesse trasformarsi in una maggioranza assoluta di seggi e quindi alterare gravemente la rappresentanza democratica.

Con l’Italicum è stata introdotta la soglia minima del 40 per cento dei voti validi per conseguire il premio di maggioranza, ma l’obiezione è che si tratti di una condizione comunque di dubbia costituzionalità.

Sull’altro argomento oggetto di contrasto, quello dei “capolista bloccati e delle preferenze” si può sinteticamente ricordare che l’incostituzionalità lamentata riguarda la ritenuta illegittimità della ripartizione dei seggi nell’ambito dei previsti 100 collegi nazionali, in ognuno dei quali verranno eletti da 3 a 9 deputati.

Ma il punto centrale del dibattito è se la sentenza della Corte Costituzionale può risolvere i problemi che pressoché tutte le forze politiche ritengono affliggano l’attuale legge elettorale.

Per rispondere al quesito è utile ricordare che la nostra Costituzione non indica alcun sistema elettorale rimettendo tale scelta al Parlamento e che, soprattutto, la mancata riforma costituzionale prevedendo l’abolizione del Senato elettivo, aveva indotto a non predisporre alcuna legge elettorale che ne regolamentasse la elezione cosicché resta ancora vigente la “Legge Calderoli” benché modificata con la sentenza della Corte Costituzionale del 2014. Quindi ci troviamo di fronte a due distinti e tutt’altro che omogenei sistemi elettorali per selezionare i componenti della Camera dei Deputati e quella dei Senatori.

Da qui l’opportunità tradotta in necessità dal Capo dello Stato di preordinare, prima delle prossime elezioni, sistemi omologhi al fine di garantire una maggiore governabilità.

Si tratta di questione che diversamente da quanto molti tra i rappresentanti politici ritengono, non può essere risolta dalla Corte Costituzionale sulla quale, peraltro, vi sono fondati dubbi che possa giudicare sulla legittimità costituzionale di una legge elettorale.

D’altra parte nel nostro ordinamento giuridico diversamente da altri, ad esempio quello tedesco o spagnolo, è impedito al cittadino di accedere direttamente alla Consulta essendo tale prerogativa riconosciuta unicamente al giudice allorquando, trovandosi a decidere su una controversia, dubita della costituzionalità della legge che dovrebbe utilizzare per risolverla.

Certo non possiamo dimenticare la sentenza del gennaio 2014. Una decisione senza precedenti alla quale va riconosciuto il merito di aver superato lo sbarramento formalistico che fino ad allora aveva indotto a tollerare, come la stessa Corte sottolinea, “la permanente vigenza di norme incostituzionali, di rilevanza essenziale per la vita democratica di un Paese”.

Assumendo oggi un diverso orientamento si potrebbe obiettare che la Corte sconfesserebbe una propria decisione. A parte il fatto che l’attuale legge elettorale non ha mai avuto concreta attuazione, condizione che la differenzia considerevolmente dalla precedente con la quale, prima che venisse falcidiata, erano state svolte ben tre elezioni  che hanno consentito un concreto accertamento della sua illegittimità, la scelta della Consulta nel 2014 suona come un vero e proprio ammonimento ai rappresentanti politici che benché consapevoli e reiteratamente sollecitati a rimuovere i profili di incostituzionalità della allora vigente legge elettorale, sono rimasti inoperosi.

Ma dalla lettura della sentenza del 2014 traspare anche la consapevolezza di una forzatura che, seppure giustificata da un nobile proposito, se reiterata rischierebbe di compromettere il rigore del rispetto delle regole e finanche la funzione di garanzia della Corte.

La scelta del sistema elettorale più e prima di qualsiasi altra legge è una prerogativa propria del Parlamento che rappresentando l’essenza delle Istituzioni e delineandone il loro futuro, non è possibile abdicare o delegare ad altri.