I nostri ‘neet’ sono figli dell’immobilismo sociale – 31 marzo 2016

Secondo le ultime stime rese note dal Centro Studi Cna Marche, attualmente nella nostra Regione sono all’incirca 44 mila i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non hanno un’occupazione.

Si tratta dei c.d. “n.e.e.t.”, acronimo per l’inglese “Not in Education, Employment or Training”, una condizione sociologica non ancora sufficientemente conosciuta né esplorata, ma tutt’altro che inusuale.

Sarebbe alquanto riduttivo classificare questi ragazzi come semplici disoccupati, poiché il fenomeno è molto più complesso se si considera che un esercito di giovani inattivi “cronici”, in maniera lenta ma inesorabile, sta scivolando ai margini del mercato occupazionale pur senza essere mai entrato nel mondo del lavoro.

Purtroppo oggi scopriamo che un giovane marchigiano su 5 (si parla, infatti, del 19,8% del totale) si trova in questa condizione e di certo non ci conforta sapere che la situazione nelle Marche è migliore rispetto al resto del Paese (dove la media nazionale è stimata intorno al 25,7%).

Tuttavia, ciò che più interessa è comprenderne le cause, considerando che la crisi economica non è l’unica responsabile. A questa vanno ad aggiungersi le note difficoltà strutturali del mercato del lavoro italiano per l’atavica carenza di riforme in materia; l’immobilismo sociale che da sempre caratterizza il nostro Paese e soprattutto la mancanza, a qualunque latitudine, del valore della meritocrazia e del rispetto delle regole. Fattori che nel corso degli ultimi decenni, unitamente all’inefficienza della giustizia civile e all’incertezza nell’applicazione e interpretazione delle leggi, non hanno favorito gli investimenti e, di conseguenza, l’occupazione.

Eppure, nella gerarchia dei valori su cui il nostro Ordinamento fonda, l’occupazione ha un posto di rilievo tant’è che la Costituzione è permeata da numerosi riferimenti al lavoro, inteso non soltanto come “strumento” per il benessere economico, ma anche come mezzo attraverso cui ogni cittadino può affermare la propria personalità, partecipando all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

In altre parole, il lavoro è un vero e proprio diritto per i cittadini che in quanto tale deve essere favorito dai pubblici poteri, come espressamente previsto anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Poiché, nello specifico della crisi occupazionale, i più colpiti risultano essere i lavoratori meno qualificati è evidente che tra le principali modalità di attuazione del diritto al lavoro devono esservi le iniziative di formazione per l’elevazione professionale. Un servizio di interesse pubblico a carico dello Stato e degli altri enti territoriali, in primo luogo delle regioni.

Il processo di formazione consente a ciascuno di sviluppare le proprie attitudini o di migliorare le competenze tecniche e professionali acquisite e di superare la radicata concezione assistenzialista che non poco mortifica la dignità dei lavoratori.