Referendum, l’essenza del voto – 14 aprile 2016

Il clamore che ha suscitato l’invito del Presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi a recarsi alle urne in occasione del prossimo referendum, esercitando così in maniera attiva il diritto di voto, è sintomatico delle numerose contraddizioni che la nostra democrazia sta vivendo.

È singolare, infatti, che un’esternazione logica e di assoluto buon senso, oltre che pienamente condivisibile da parte di un uomo dello Stato sia stata accolta con tanta enfasi, alla stregua di una vera e propria notizia.

In verità, ciò che avrebbe dovuto meravigliare e, per certi versi, meritare quantomeno un’analoga considerazione da parte degli organi di informazione, doveva essere il precedente invito a non andare a votare, formulato a più riprese anche in maniera schietta, da parte di alcuni dei più alti rappresentanti del mondo politico e istituzionale del Paese.

L’astensione, d’altro canto, è sempre parsa l’opzione più efficace e diretta per contrastare un referendum, poiché la validità dello stesso è subordinata necessariamente al raggiungimento del quorum dei votanti, vale a dire alla partecipazione effettiva della maggioranza degli aventi diritto al voto.

Una soglia che in Italia negli ultimi vent’anni, nell’ambito delle sette consultazioni che si sono susseguite, è stato raggiunta e superata una sola volta nel 2011, in occasione del celebre referendum “sull’acqua”, abrogazione delle norme che consentivano la produzione di energia nucleare e legittimo impedimento.

Si consideri inoltre che, ad eccezione del referendum del 1999 sull’abolizione della quota proporzionale nelle elezioni della Camera dei deputati prevista dalla legge elettorale dell’epoca, quando il quorum fu sfiorato (in quell’occasione votò, infatti, il 49,6% degli aventi diritto), in tutti gli altri casi la partecipazione dei cittadini è stata sempre modesta e, in ogni caso, mai superiore al 32,5%.

In estrema sintesi, in cinque delle ultime sette consultazioni referendarie dal 1997 ad oggi, ha partecipato in media un italiano su tre.

Dati preoccupanti, soprattutto se associati alla crescita sensibile ed esponenziale dell’astensionismo anche nelle consultazioni non a carattere referendario.

Il peso del c.d. “partito dell’astensione”, il vero “vincitore” nelle tornate elettorali degli ultimi anni, dimostra che ormai nel nostro Paese la scelta di non andare a votare da parte di molti cittadini non può essere più considerata occasionale, né tantomeno casuale.

Il fenomeno andrebbe in realtà studiato a fondo e contrastato con ogni mezzo, poiché il voto è il momento partecipativo più alto che consente ai cittadini, mediante l’esercizio di un diritto-dovere inviolabile ed incomprimibile, di partecipare attivamente alla “vita” dello Stato.

In definitiva, al netto di strategie o valutazioni di mera convenienza politica, il “non voto” non può mai essere considerato uno strumento proprio della democrazia, poiché nega e contraddice l’essenza della stessa.