Tre motivi e un episodio per rilanciare la famiglia – 14 settembre 2017 –

È notizia di questi giorni che la coppia simbolo delle famiglie gay si è separata. La straordinarietà o semplicemente il rilievo dell’evento, non è rappresentato dal fatto che anche nelle unioni civili può verificarsi un “divorzio”, poiché la crisi della coppia è possibile a qualunque latitudine, sia che la stessa sia costituita da eterosessuali che da omosessuali.

Le questioni meritevoli di annotazione, in quanto effettivamente anomale, sono altre. In primo luogo la ingiustificata disparità di trattamento tra le unioni civili e il matrimonio. Infatti, in caso di scioglimento delle prime non è necessario passare per la “separazione” essendo sufficiente che anche uno soltanto dei partners comunichi all’ufficiale dello stato civile la propria intenzione di dividersi. Successivamente, decorsi tre mesi, è possibile proporre domanda di divorzio. Oltre a ciò vi è anche la possibilità, esclusa in caso di matrimonio, che l’unione si sciolga automaticamente come in ipotesi di rettifica di sesso. Un divario che pur essendo in taluni casi a vantaggio del matrimonio è privo di valide giustificazioni e quindi è auspicabile un rapido intervento del legislatore per apportare i necessari correttivi anche se, come si sa, è tutt’altro che facile in un ordinamento giuridico come il nostro che le leggi, nonostante in molti casi siano frutto di compromessi a ribasso, vengano corrette.

Ma al di là del profilo, diciamo così procedurale, delle diverse modalità con le quali si può giungere al divorzio, il caso è importante per le dichiarazioni rese dagli interessati che hanno tenuto a sottolineare che pur non essendo più una coppia restano una famiglia. I due difatti sono anche genitori di tre figli. Da una coppia omosessuale, quindi, il rilancio della famiglia, cioè a dire di una questione centrale per la nostra società nella consapevolezza che l’aggregazione del Paese, che non attraversa un facile momento storico, è un obiettivo primario per il quale non bisogna lesinare risorse. Certo dobbiamo convintamente prendere atto che vi sono, e non da oggi, nuovi modelli familiari. Quello unico, fondato sul matrimonio “classico” tra uomo e donna, che piaccia o meno, è da tempo superato. Non ci si riferisce soltanto alle unioni civili, in vigore da poco più di un anno, ma ad un mutamento incisivo che, negli ultimi lustri, ha progressivamente trasformato le famiglie patriarcali in nucleari e da etiche ad affettive. Ma è anche intervenuto un cambiamento dei ruoli tra i componenti. Quello della donna, soprattutto, che fortunatamente è sempre più protagonista del sistema lavorativo anche se con maggiore sacrificio rispetto all’uomo. La promozione della famiglia, in definitiva, seppure nella nuova accezione, implica in primo luogo il riconoscimento delle sue funzioni. Quello di mediazione tra i suoi componenti e la società ma anche quello di favorire un maggiore senso di solidarietà coniugando l’impegno per sé stessi, al fine del conseguimento di una sempre maggiore autonomia, ma anche la cura del bene comune.

Tutt’altro che secondaria, inoltre, è la funzione economica che la famiglia, in quanto rappresentativa anche di una “impresa” tra persone unite dal perseguimento di obiettivi comuni, è chiamata a svolgere. A ben vedere il benessere di cui la nostra comunità gode è stato realizzato grazie all’impegno delle famiglie i cui membri, pur senza trascurare le peculiarità della vita domestica, hanno saputo dedicarsi al lavoro in un difficile equilibrio tra quest’ultimo e gli impegni familiari, svolgendo anche un ruolo di ammortizzatore sociale nella tutela e cura dei più deboli.

Infine, per quanto possa apparire il contrario, il nostro è un tempo di “solitudine”. Anche in questo caso è la famiglia a svolgere la prima e più importante tra le funzioni socializzanti che tuttavia dovranno essere anche integrate dalle istituzioni ed in primo luogo dalla scuola.