La giustizia in Europa e l’Italia che rincorre – 13 aprile 2017 –

Lo scorso 10 aprile la Commissione Europea ha pubblicato il quadro di valutazione UE della giustizia 2017, mettendo a confronto l’efficienza, la qualità e l’indipendenza dei sistemi giudiziari degli Stati membri dell’Unione Europa.

Si tratta della quinta edizione dello studio, finalizzato precipuamente a fornire un valido supporto alle singole autorità nazionali per migliorare l’efficacia della giustizia attraverso l’esame del concreto funzionamento della stessa.

I risultati che emergono dalla valutazione sono incoraggianti a livello europeo sotto vari aspetti, in particolare la durata media dei procedimenti giudiziari, la lotta contro il riciclaggio di denaro, l’accesso alla giustizia dei cittadini meno abbienti, l’uso degli strumenti informatici e l’applicazione delle norme UE a tutela dei consumatori.

L’Italia, com’era ampiamente prevedibile, non è uscita benissimo dal confronto con le altre realtà europee, soprattutto in ragione nella lentezza nella definizione dei procedimenti giudiziari.

A dire il vero, dall’analisi del rapporto emerge che i nostri giudizi nelle materie civili e commerciali, con una durata media di 395 giorni, risultano attualmente tra i più “lenti” in ambito comunitario.

Riescono a fare peggio di noi solo Portogallo, Malta e Cipro, paesi che, con tutto il doveroso rispetto, non possono certamente rappresentare utili parametri di riferimento in materia.

Il quadro, se possibile, è ancora più sconfortante se si considera la durata media dei processi amministrativi, che supera i mille giorni. L’Italia rappresenta infatti, dopo Cipro, il Paese dove occorre più tempo per definire un procedimento amministrativo.

Il confronto con altri stati dell’Unione è impietoso.

In pratica, un’impresa, un artigiano o, molto più semplicemente, un qualsiasi cittadino che “chieda” giustizia in Italia è condannato ad un’attesa che eccede di gran lunga il tempo che sarebbe necessario altrove.

Si consideri, inoltre, che la velocità dei processi è chiaramente uno dei fattori chiave da cui dipende l’efficacia dell’intero sistema.

Una sentenza che giunge dopo anni di attesa, anche se ineccepibile sotto il profilo formale e sostanziale, è di per sé ingiusta ed inadeguata a rendere giustizia perché non garantisce minimamente l’effettività della tutela giurisdizionale.

Le inefficienze della giustizia logorano il senso stesso delle regole, cioè a dire la consapevolezza dell’obbligatorietà delle stesse. Se lo strumento processuale non funziona, la norma giuridica perde la sua valenza “precettiva” e diviene, per contro, meramente “indicativa”. In altri termini, vengono minate le basi di ogni convivenza civile.

In questa direzione, bisogna riconoscere che vi sono stati vari tentativi dal punto di vista legislativo negli ultimi anni per ridurre la mole abnorme di contenziosi pendenti.

Nonostante le riforme, la situazione è rimasta tuttavia sostanzialmente invariata rispetto al 2010. Allora servivano in media 393 giorni per definire un procedimento civile, nel 2015 ne occorrono all’incirca 395.

Allo stato appare evidente e non più procrastinabile una riforma complessiva della giustizia, perché i singoli interventi susseguitisi nel corso di questi anni, spesso in maniera confusa e disorganica, sono risultati poco incisivi, se non addirittura deleteri.

Le tante cause pendenti, i tanti (troppi) “riti”, le schizofreniche modifiche procedurali che il nostro legislatore ciclicamente introduce, le criticità strutturali ed organiche dei nostri uffici giudiziari e, soprattutto, la moltitudine di leggi attualmente in vigore sono solo alcuni dei mali che, ormai da tempo immemore, affliggono il nostro processo civile e vanno assolutamente curati.

In difetto, la ragionevole durata del processo riconosciuta dalla Costituzione sembra destinata a rimanere una mera enunciazione di principio.

Essendo la ricerca di una giustizia efficace un obiettivo unanimemente condiviso, almeno stando alle dichiarazioni di tutte le componenti politiche, sociali ed economiche del nostro Paese, viene da chiedersi per quale ragione siamo ancora al palo. La risposta potrebbe essere individuata nella mancata trasparenza dei vari processi decisionali. Molto spesso le leggi, quelle di riforma più di altre, pur perseguendo obiettivi appieno condivisibili vengono stravolte nella loro costruzione al punto da divenire illeggibili e conseguentemente di difficile interpretazione e applicazione.