Disuguaglianza il gap aumenta – 14 luglio 2016

Benché sia opinione largamente condivisa che la crisi economica che ormai da anni ci attanaglia abbia avuto inizio nel settembre del 2008 con il fallimento della Lehman Brothers, una delle più grandi banche di affari americane, non è del tutto impropria la tesi che la anticipa al 2007 con l’esplosione dei mutui subprime, che ci ha costretto a rivedere l’idea che la “grande depressione” del 1929 potesse essere un evento irripetibile.

A ben vedere la crisi potrebbe avere avuto avvio già nel 2001 e nel tempo mutato le proprie caratteristiche tanto da rendere inefficaci gli strumenti approntati per combatterla in quanto già superati al momento della loro applicazione.

Com’è noto, la fase attuale della crisi, quella che come si è detto convenzionalmente datiamo 2008 e che universalmente qualifichiamo come finanziaria, ha travolto le economie occidentali per effetto della interconnessione tra i mercati ed intermediari ed è stata verosimilmente causata dalle modalità disinvolte con le quali il sistema finanziario, allora ancora più di oggi privo di controlli, ha implementato la bolla speculativa.

La comparazione che ormai da anni viene effettuata tra quella attuale e la crisi del 1929 consente di individuare molti punti in comune anche se è del tutto evidente che alcune caratterizzazioni della prima non permettono una piena equiparazione con la nostra, in quanto diverse sono le condizioni economiche, sociali e politiche che hanno contraddistinto i diversi momenti storici.

Un fattore tuttavia appare identico, ovvero l’implementazione del mutamento della distribuzione del reddito.

A ben vedere la crisi del nuovo secolo, quella cioè iniziata nel 2001, piuttosto che essersi rapidamente conclusa, è stata, come oggi è più evidente, una sorta di prova generale di quella del 2008. Anzi, una più approfondita analisi induce a ritenere che proprio la sottovalutazione delle problematiche della crisi del 2001 ha determinato l’aggravamento di quella successiva, nella quale gli effetti negativi sui consumi hanno mostrato la loro effettiva gravità, contrariamente a quanto era avvenuto in precedenza, dove vi era stato un mantenimento elevato della domanda grazie all’indebitamento delle persone e delle famiglie supportato dall’ingegneria finanziaria speculativa.

Quanto alle soluzioni possibili, va detto che l’incidenza della globalizzazione, evidentemente più contenuta agli inizi del secolo scorso, ha agevolato una più rapida riduzione della disuguaglianza che, invece, come i dati statistici dimostrano, è in continua crescita a partire dal nuovo secolo, tanto da aver superato nettamente quella registrata negli anni a ridosso del 1929.

Ad oggi ancora non si notano concreti segnali di inversione di tendenza ed anzi l’attuazione delle politiche di austerità, l’insoluta problematica della disoccupazione e le insolvenze delle imprese pubbliche e private sono fattori che tendono ad incrementarla.

La correlazione tra la disuguaglianza e la crisi, in particolare dei mercati finanziari, obbliga ad interventi non più procrastinabili e trasversalmente invocati. In primo luogo, ciò che si avverte è la necessità del riequilibrio tra i paesi dell’Unione Europea, essendo chiaro che quelli in prevalente avanzo non hanno contribuito allo sviluppo dei più deboli, bensì all’aumento del loro debito.

Inoltre l’inefficacia dei mercati finanziari ha reso la mobilità dei capitali nell’area euro non più un vantaggio, quanto un elemento di squilibrio nei rapporti debito – credito tra i paesi, alimentando sempre più il rischio di deflazione.

Se a ciò aggiungiamo l’insostenibile peso della pressione fiscale, l’evidente riduzione dell’incidenza sulla crescita da parte delle imprese, la fragilità delle banche e il difficile rimborso dei debiti privati e pubblici, il risultato non potrà che essere un aumento della disuguaglianza che, in difetto di concreti e urgenti interventi, condurrà ad una inesorabile fuoriuscita, dopo quelli del Regno Unito, di altri paesi dall’Unione Europea.