Democrazia parlamentare la strada delle riforme – 27 settembre 2018 –

La memoria storica non è propriamente una prerogativa di noi italiani. Eppure soltanto attraverso un articolato processo critico ricognitivo si possono attuare iniziative sociali, amministrative e legislative in linea con le peculiarità economiche ed etiche del tempo che viviamo, evitando errori già commessi in passato.

La nostra predilezione per la storia evenemenziale sarebbe meritevole di una indagine antropologica al pari della propensione all’oblio delle precedenti esperienze, anche quelle più negative. Certo lo sviluppo tecnologico, in particolare quello delle reti di comunicazione, mettendo a disposizione di chiunque una quantità abnorme di informazioni, non di rado di dubbia attendibilità, ha surclassato il tradizionale processo formativo di approfondimento.

Si tratta di un fenomeno culturale generalizzato e purtroppo regressivo che si riverbera sull’azione governativa, come è dimostrato dal dibattito di questi giorni, che rischia di vanificare le tante, forse troppe, aspettative in campo, ma soprattutto di costituire un vulnus difficilmente recuperabile.

In proposito si consideri, al netto dei revirement ai quali gli attuali governanti ci stanno abituando, l’inconsistenza, per alcuni versi l’imprudenza, delle iniziative legislative volte a una maggiore severità punitiva, come il caso del Ddl anticorruzione, benché sia sotto gli occhi di tutti che non vi è bisogno di nuove leggi quanto piuttosto di applicare correttamente quelle esistenti e se proprio si ritenesse necessario intervenire, in primo luogo si dovrebbero eliminare le tante norme che confliggono tra di loro, semplificando le altre al fine di attuare regole leggibili.

Il nostro tempo è irto di pericoli che alimentano l’incertezza sul futuro dell’attuale Stato democratico. Ovviamente non si parla di un rischio per la democrazia del cui solido fondamento non è dato di dubitare, bensì del definitivo tracollo dell’attuale sistema fondato sulla democrazia rappresentativa, delineata dalla Costituzione del 1947, senza una effettivamente seria alternativa.

La forza del consenso dell’attuale maggioranza, che come i sondaggi documentano quotidianamente non viene scalfita nonostante talune palesi incoerenze dei propri rappresentanti, deve essere utilizzata per rompere la frontiera della resistenza a una forma di Stato anacronistica che costituisce la principale causa del successo di formazioni rappresentative, non soltanto politiche ma di tutti i corpi intermedi, disorganiche e prive di una strategia di lungo periodo.

La crisi della democrazia rappresentativa non può semplicisticamente tradursi in un suo rifiuto a favore di una non meglio delineata forma di democrazia diretta, la cui essenza è nella opposizione al sistema partitico tradizionale, che nei fatti si traduce in una mera competizione alla ricerca del consenso elettorale.

Si può e si deve riprendere la strada delle riforme, ma su presupposti diversi dal passato che fondavano sul ritenuto accentuato parlamentarismo che, nella realtà, non vi è mai stato quantomeno per il controllo esercitato dai partiti. È vero, invece, che pur assecondando le iniziative governative, soprattutto nell’abuso della decretazione di urgenza, il Parlamento ha impedito degenerazioni autoritarie.

Non possiamo dimenticare che il nostro ordinamento già contempla istituti di democrazia diretta (articolo 50 della Costituzione); strumenti utili a consentire ai cittadini di esercitare direttamente la sovranità e che la nomina dei primi parlamentari è avvenuta su indicazione dei sovrani che pur essendo titolari di un potere assoluto avevano interesse a conoscere il punto di

La Costituzione Esistono già istituti che consentono ai cittadini di esercitare la sovranità direttamente

vista dei propri sudditi, in particolare per quanto riguardava l’amministrazione e la giustizia, e ad acquisire il consenso, man mano divenuto indispensabile, prima di imporre nuovi tributi, al fine di arginare le contestazioni.

Un potere inizialmente più limitato in quanto i rappresentanti parlamentari agivano per conto dei loro mandanti, ma che in seguito, dopo la promulgazione della Costituzione francese del 1793 i cui effetti si proiettarono su tutte le Costituzioni dell’800 compreso lo Statuto Albertino, venne implementato fino a consentire loro la rappresentanza politica di tutta la nazione.

Soltanto preservando questo patrimonio storico, che tuttavia va rivisitato alla luce dello scenario della nostra epoca, potremmo effettivamente entrare nella Seconda Repubblica poiché dalla Prima, senza un effettivo cambiamento della Costituzione, non siamo ancora mai usciti.