La crisi economica è anche una crisi culturale – 4 settembre 2010 –

Tra le numerose e talune autorevoli teorie sulle cause dell’attuale crisi economica, quelle che raccolgono maggiori consensi sono volte a sostenere, l’una, che la finanza speculativa ha generato prodotti finanziari di dubbio valore cosicché i 4000 miliardi di dollari – che si stima costituiscano l’alterazione finanziaria – hanno compromesso seriamente il sistema bancario e, più in generale, quello economico. D’altra parte se si considera che nel 2008, anno in cui molti governi ancora si ostinavano a negare l’esistenza della crisi economica, il Pil mondiale è stato di circa 56.000 mila miliardi di dollari, è agevole comprendere l’incidenza che i prodotti finanziari “spazzatura” hanno avuto. Altra importante teoria, latamente più pessimistica, valuta la crisi come sistemica e di lunga durata, caratterizzata cioè da una cosiddetta “economia di carta di dubbio valore”, rappresentata da un’attività economica ultrasofisticata e carente di una reale copertura.

Sarebbe interessante valutare le soluzioni d’uscita dalla crisi prospettata dagli assertori delle due teorie anche se, semplificando, si può affermare che le stesse convergono sulla necessità di una più incidente azione statale che, in primo luogo, intervenga sul sistema bancario. Va anche detto che la prima – e più condivisa – delle impostazioni appare meno catastrofica dell’altra, quantomeno perché è protesa a ritenere esistente una soluzione a breve–medio termine e senza disastri geopolitici o addirittura guerre come, per contro, si ritiene nell’altro campo di indagine.

Della serietà della questione non si dubita, anzi talvolta si ha l’impressione che non vi sia una reale visione della stessa. Da qui l’auspicio che più intensamente possa essere svolta un’azione, quantomeno tra i rappresentanti del G20, per arginare il pericolo di un prolungamento dell’attuale situazione che avrebbe di certo conseguenze disastrose, in primo luogo sull’occupazione.

Tuttavia non può essere sottaciuto che, ad un’analisi obiettiva, le cause dell’attuale recessione non appaiono soltanto strettamente economiche ma anche culturali.

La società iper-consumistica in cui viviamo ha completamente stravolto i meccanismi relazionali tra soggetti, indotti sempre più a percepire bisogni nuovi la cui funzione prevalente è di sviluppare il ciclo economico con soluzione di crescente continuità.

Il consumatore non avverte tanto l’esigenza di acquisire un determinato prodotto per la funzione fisica e strumentale che assolve, quanto per la valenza simbolica e le relazioni sociali che lo stesso è in grado di offrire.

Il denaro ha assunto un ruolo fondamentale, rappresentando il principale strumento regolativo delle gerarchie sociali e, in tale prospettiva, a nessuno può sfuggire la cognizione di quelle dinamiche che hanno indotto una miriade di individui a contrarre debiti stratosferici.

L’individuazione di ogni possibile strategia di uscita dalla fase recessiva non può prescindere dalla consapevolezza e necessità di operare, in primo luogo, un sovvertimento di quei valori che un consumismo sempre più sfrenato ha consolidato in questa epoca.