Unioni civili cambia la famiglia – 12 maggio 2016

Per la prima volta nel nostro Paese, in un clima di contrapposizione ideologica, sono state riconosciute e disciplinate, non senza un colpevole ed ingiustificato ritardo, le unioni tra omosessuali.
Dopo l’approvazione del Senato dello scorso febbraio, il disegno di legge in tema di “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” ha ottenuto il definitivo via libera anche dalla Camera dei Deputati, benché attraverso il contestato ricorso al voto di fiducia.
Più che di un traguardo in verità si tratta di un punto di partenza nel riconoscimento a tutti i cittadini del diritto al rispetto della vita familiare e privata.
A ben vedere non si può parlare propriamente di una scelta libera, poiché con sentenze del 2010 e del 2014 la Corte Costituzionale ha affermato la necessità, ma è meglio dire l’obbligo per il legislatore di procedere “con la massima sollecitudine” a regolamentare i nuclei composti da coppie dello stesso sesso. Va aggiunto che le decisioni della Suprema Corte conseguono alla nota sentenza della Corte europea di Strasburgo risalente al 2010, con la quale è stato affermato il principio che le coppie dello stesso sesso rientrano nella protezione che la CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo) riconosce, ai sensi dell’articolo 8, alla vita familiare.
La nozione di famiglia pertanto, data la disposizione della Convenzione, non può essere limitata alle uniche relazioni basate sul matrimonio, né tantomeno esclusivamente alle convivenze eterosessuali dovendo necessariamente comprendere anche i legami familiari tra persone dello stesso sesso.
In altre parole, il nostro legislatore non poteva sottrarsi a tale indicazione poiché, com’è noto, l’adesione dell’Italia alla Convenzione la obbliga al rispetto dei diritti dell’uomo da questa indicati secondo l’interpretazione che ne da la Corte europea.
La questione quindi non è se dovevano essere regolamentate legislativamente le unioni civili, quanto piuttosto come regolamentarle, ed in questo appare evidente che la scelta operata sia frutto di un compromesso al ribasso considerando che la legge ricalca le orme del rapporto coniugale, riproducendone gran parte delle disposizioni normative anche attraverso una serie non sempre chiara e forse non sufficientemente ponderata di rimandi, rimarcandone al contempo differenze che a ben vedere hanno una portata soltanto formale.
In definitiva, dopo anni di battaglie per lo più consumate sul piano giurisprudenziale che in larga misura hanno anche riguardato la regolamentazione giuridica delle famiglie di fatto, cioè coppie eterosessuali che non vogliono o non possono accedere al matrimonio, siamo giunti al punto che queste ultime sono prive di una disciplina legislativa che si traduce anche in una mancanza di protezione.
Certo non è poca cosa il risultato raggiunto se si considera che gli omosessuali in Italia sono circa il 4-5% della popolazione, tuttavia dobbiamo auspicare che la fragilità dell’impianto legislativo non induca ad interpretazioni che, nel concreto, potrebbero risultare regressive piuttosto che evolutive.