L’immigrazione modifica la fisionomia delle società – 12 ottobre 2017 –

É pressoché universalmente condivisa l’opinione che il fenomeno migratorio, essendo di dimensioni planetarie, non può essere affrontato con provvedimenti di tipo emergenziale bensì richiede interventi strutturali, non soltanto legislativi in senso stretto. É altresì evidente che l’immigrazione ha modificato, in alcuni casi in maniera rilevante, la fisionomia delle società occidentali al punto che per molti governi, tra i quali quello italiano, si tratta di una problematica prioritaria e, al contempo, particolarmente delicata poiché deve essere affrontata tenendo conto sia della esigenza di gestire i flussi migratori, che sempre più vengono percepiti come una minaccia alla sovranità e alla sicurezza degli Stati, garantendo, in linea con i presupposti di tutela dei fondamentali diritti dell’uomo previsti dalla Convenzione di Ginevra dell’ormai lontano 1951, una adeguata protezione a chi si vede costretto a lasciare il proprio Paese a causa di guerre e persecuzioni e che per tali ragioni è legittimato a conseguire lo status di rifugiato.

Requisiti, tuttavia, non sempre posseduti da chi approda sulle nostre coste, trattandosi in molti casi di “migranti economici”.

Persone alla ricerca di migliori condizioni di vita che molto frequentemente tentano di sottrarsi alla miseria del loro Paese.

Ecco quindi che si può ben comprendere come la problematica dei flussi migratori necessiti di essere affrontata sotto vari profili ed in primo luogo attraverso una politica di accoglienza che si occupi della regolarizzazione di coloro che sono già presenti in Italia e che, come le indagini statistiche e sociologiche documentano, costituiscono in larga parte una risorsa. In questo solco, diciamo pure culturale oltre che legislativo, ammesso e non concesso che le due cose possano essere distinte, si inserisce il recente “Piano nazionale di integrazione dei titolari di protezione internazionale”, predisposto dal Ministero dell’Interno e presentato il 26 settembre scorso. Si tratta di un provvedimento consapevole delle criticità di cui si è detto e, al contempo, volto al conseguimento di misure concrete di tutela a favore dei titolari dei diritti essenziali che il loro status gli attribuisce il che, detto in altre parole, sta a significare che debbono essere in tutto e per tutto equiparati ai cittadini italiani assumendo, insieme ai diritti, anche doveri e responsabilità.

Non di meno la storia, anche recente, ci ha insegnato che l’integrazione non la si può imporre legislativamente e che quando ciò si è tentato, si è giunti sinanche ad esasperare processi di deculturazione la cui conseguenza è stata, soprattutto nei Paesi di immigrazione risalente dove cioè si può parlare ormai di terze generazioni, di aver suscitato negli stranieri una forte percezione di esclusione dal discorso pubblico.

Dobbiamo anche ricordare che la “Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione”, provvedimento adottato sempre dal Ministero dell’Interno nel 2007, diversamente dalle aspettative, non ha ancora appieno consentito il raggiungimento dell’obiettivo che si era prefisso ovvero di rendere effettivamente operativo un patto che ricomprendesse, coniugandoli, il principio di legalità e la valorizzazione delle differenze culturali.

La strada da percorrere è ancora lunga ed impervia ma alcuni risultati sono stati raggiunti. Innanzitutto la consapevolezza che solo parzialmente si è tradotta in efficaci atti concreti, che le problematiche relative all’immigrazione debbano essere condivise tra tutti gli Stati membri, così come è stato riconosciuto anche dal Consiglio dell’Unione Europea nel settembre del 2015, evitando che gravino soltanto su alcuni, ed in particolare l’Italia e la Grecia.

Ma è anche ora di assumere sempre più consapevolezza, con conseguenti iniziative di sostegno, che in un Paese come il nostro, caratterizzato da un evidente localismo, un ruolo fondamentale anche in questa materia deve essere svolto dagli enti locali e dalle regioni, ai quali pertanto spetta di attuare la programmazione di integrazione in linea con le loro realtà economiche, sociali e geografiche.