La storia si ripete – 7 gennaio 2016 –

La storia delle banche del malaffare si ripete ormai da circa un secolo ed in qualunque condizione economica, finanziaria o sociale.

È successo nel periodo della finanza spericolata che nel 1929  determinò la crisi di Wall Street; oppure nel 2002 con le inchieste sulla J.P. Morgan Chase e la Citigroup, due tra le più importanti banche degli Stati Uniti dell’epoca, accusate di avere dolosamente occultato le perdite di un loro grande cliente, la Enron Incorporation. È accaduto anche nel 2008 con il fallimento della Lehman Brother, all’esito della persistente crisi dei mutui subprime.

Inevitabilmente tutte queste situazioni hanno determinato conseguenze negative anche nel nostro Paese, dove fino a qualche tempo fa prevaleva l’opinione che il nostro sistema bancario fosse integro e immune dai rischi che avevano caratterizzato quello americano, stante l’attuazione delle riforme legislative degli anni ottanta e novanta.

Purtroppo quanto sta accadendo in questi giorni con il default di Banca delle Marche, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio di Ferrara e CariChieti  conferma l’infondatezza della tesi.

Ne sanno qualcosa i clienti ed i risparmiatori chiamati a subire le conseguenze di gestioni finanziarie non propriamente inappuntabili.

A ben vedere la gravità dello scandalo delle quattro banche citate è di molto superiore alle perdite degli azionisti, poiché colpisce , nel fondamento, il sistema finanziario nel suo complesso.

E’ del tutto evidente, pertanto,  che non è più ulteriormente differibile una riforma radicale del sistema bancario e finanziario, come già avvenuto in passato con la legge bancaria del 1936, promulgata  sull’onda della Glass-Steagal  statunitense che separò le banche dalle imprese riducendo i conflitti di interesse tra le stesse e, soprattutto, limitando l’esposizione del sistema bancario al capitale di rischio.

Eppure la soluzione è tutt’altro che facile ed anzi talvolta  risulta essere insuperabile. Si consideri che a seguito dello scandalo del 2002 i colossi bancari americani J.P. Morgan Chase e  Citigroup, nel tentativo di riabilitarsi,  predisposero  regolamenti interni finalizzati a preordinare transazioni a vantaggio dei loro clienti, anche se ciò non avvenne, come il tempo ha dimostrato.

Lo stesso presidente Barack Obama  non è riuscito ad attuare il  promesso riordino delle regole del sistema bancario , uno dei i principali obiettivi del suo programma .

In definitiva, tutte le volte che si respira un’atmosfera di violazione della tutela del credito ,che nel nostro Paese, come è noto , trova fondamento nell’art. 74   della Carta Costituzionale, il tema ritorna ad essere di attualità , salvo poi rassegnarsi allo strapotere della finanza ed alla impunità dei suoi protagonisti.

Viene da chiedersi se  ci sono delle soluzioni possibili. Se , per esempio, oggi potremmo riproporre le misure della Glass-Steagal Act che ha senz’altro funzionato per circa mezzo secolo, prima  di essere svuotata dall’interno dalle acute menti della finanza, ovvero, secondo la tesi di Steven Coen, dal reaganismo e dalla maggioranza repubblicana che avrebbero determinato la caduta delle regole di protezione dei mercati.

Questi rimedi risulterebbero verosimilmente anacronistici. Bisognerebbe  piuttosto intervenire con regole chiare, che in astratto non sarebbe difficile redigere,  per l’istituzione di autorità di controllo prive di conflitti di interessi e, soprattutto, invertire definitivamente la rotta della deregulation e riportare l’economia di carta a quella reale.