La selezione degli embrioni ora non costituisce più reato – 10 dicembre 2015 –

La controversa Legge n. 40/2004, dettata in materia di procreazione medicalmente assistita, è finita nuovamente nel mirino della Corte Costituzionale.
Questa volta a cadere sotto la scure della Consulta è stato il divieto di “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti”, perseguito penalmente dall’articolo 13, comma 3 e comma 4 della predetta legge.
I Giudici della Consulta, valutando la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Napoli, con sentenza n. 229/2015 dello scorso 11 novembre hanno difatti stabilito che la selezione degli embrioni da parte del personale sanitario non costituisce più reato.
La decisione è giunta tutt’altro che inaspettata, poiché la Corte, solo pochi mesi or sono con sentenza n. 95/2015, aveva già dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 1 e 4 della predetta legge “nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili”.
In altre parole, essendo già venuto meno il divieto di diagnosi preimpianto e quello di accesso alle tecniche di procreazione assistita per le coppie fertili ma portatrici di malattie trasmissibili geneticamente, appariva assai poco ragionevole, oltre che contraddittorio, ricondurre ancora nella sfera del penalmente rilevante la condotta “selettiva” del medico, finalizzata cioè ad evitare il trasferimento nell’utero della donna di embrioni affetti da gravi malattie genetiche trasmissibili.
Sin dalla promulgazione della legge, peraltro, era parso subito chiaro che il divieto legislativo di selezione di embrioni “sani”, con conseguente obbligo di impianto in utero anche di quelli “malati”, fosse lesivo del diritto all’autodeterminazione nelle scelte personali e del diritto alla salute, oltre che del tutto privo di senso e di logica, posto che nel nostro ordinamento è consentita l’interruzione della gravidanza.
Ecco quindi che la selezione tra embrioni vietata “in vitro” si poteva realizzare tranquillamente in un secondo momento “in utero”, stante il possibile ricorso all’aborto per finalità terapeutiche, con un conseguente cortocircuito legislativo di dubbia comprensibilità.
Ad ogni modo, quello della selezione degli embrioni è solo l’ultimo ambito in cui i Giudici sono stati costretti ad intervenire sulla Legge n. 40/2004, a distanza di poco più di dieci anni dalla sua approvazione. Da allora la classe politica ha infatti accuratamente evitato di correggerne l’impianto normativo ed eliminarne le palesi incongruenze, rendendo così inevitabili gli interventi, a più riprese, della Corte Costituzionale.
Non resta che auspicare, per il futuro, una maggiore attenzione da parte del nostro legislatore soprattutto rispetto ai c.d. temi “etici”, per i quali troppo spesso si sono registrati silenzi assordanti o, peggio ancora, interventi normativi contrari ai principi fondamentali del nostro ordinamento, al fine di evitare, come nel caso della Legge n. 40/2004, rilevanti correzioni da parte della Suprema Corte.