La diagnosi preimpianto – 24 ottobre 2013 –

È possibile la diagnosi preimpianto anche per una coppia fertile, a spese del Servizio Sanitario Nazionale e in una struttura pubblica.

Il Tribunale Civile di Roma, adito in via cautelare da una coppia di portatori sani di fibrosi cistica intenzionata a fare ricorso alla fecondazione assistita, ha dato il via libera all’esame diagnostico che la legge sulla procreazione assistita, approvata nel 2004 e confermata dal referendum del 2005 in ragione del mancato raggiungimento del quorum, ammette solo per le coppie sterili.

Disapplicando quindi la disposizione contenuta nella legge 40 del 2004, sulla base di un principio sancito dalla Corte di Strasburgo, il Giudice capitolino ha riconosciuto per la prima volta il pieno diritto di una coppia fertile “a sottoporsi al procedimento di procreazione medicalmente assistita” con conseguente trasferimento in utero, “previo esame clinico e diagnostico degli embrioni creati tramite fecondazione in vitro”, soltanto “degli embrioni sani o portatori sani rispetto alla patologia da cui sono affette le parti mediante le metodologie previste dalla scienza medica e con crioconservazione degli embrioni malati sino all’esito della tutela di merito”.

Al riconoscimento della fondatezza della pretesa azionata dalla coppia è seguito, ovviamente, l’ordine al competente servizio pubblico sanitario, “direttamente o avvalendosi di altre strutture specializzate”, di dare immediata esecuzione al provvedimento che, pur essendo enfaticamente definito “storico” da molti addetti ai lavori, altro non è che la corretta e logica applicazione dei principi riconosciuti in materia dal nostro ordinamento.

Nello specifico, circoscrivendo ogni considerazione al tema della diagnosi preimpianto, non si comprende quale sia il senso del divieto in presenza di norme (il riferimento è alla legge n. 194 del 1978, meglio nota come legge sull’interruzione della gravidanza) che, successivamente all’impianto stesso, riconoscono la piena legittimità dell’aborto terapeutico, volto ad evitare l’eventuale sviluppo di un feto affetto da patologie genetiche che sarebbero diagnosticabili, in ogni caso, prima dell’impianto in utero.

A distanza di quasi dieci anni dall’emanazione, dopo le numerose stroncature dei giudici, sia nazionali che comunitari, e della Corte Costituzionale sembra essere giunta l’ora per il nostro legislatore di interrogarsi sui molteplici profili di criticità e di dubbia costituzionalità di disposizioni che, certamente, non costituiscono un esempio paradigmatico di “buona” legislazione.

Non resta, quindi, che auspicare la promulgazione di una legge sulla procreazione assistita in linea con i principi della nostra Costituzione, anche al fine di limitare il c.d. “turismo procreativo” di molte coppie italiane con problemi di fertilità, fenomeno triste e sconfortante per un Paese che si definisce civile.