Se i gestori dei siti fanno poco (o nulla) contro le fake news – 10 dicembre 2017 –

“Ogni soluzione genera nuovi problemi”, è uno dei tanti corollari delle leggi di Murphy rese note nell’ormai lontano 1955 da George Nichols ispirato appunto dalle acute osservazioni del Capitano di aviazione Edward A. Murphy Jr.

A ben vedere è esattamente quanto si sta verificando con internet, vale a dire una delle più importanti invenzioni tecnologiche del ventesimo secolo, che nell’aiutarci a migliorare di gran lunga la qualità della nostra vita, è divenuto esso stesso un problema sotto vari punti di vista: dalla dipendenza nella quale cadono i tanti che ne fanno un uso eccessivo arrivando ad abusarne, alle notizie false che impunemente circolano in rete. Ed è proprio su questo tema, quello delle fake news, che il Garante della Privacy si è espresso stigmatizzando il loro uso sul presupposto che “quello che bisogna evitare, nel trattamento delle fake news è da una parte attribuire ai gestori delle piattaforme digitali il ruolo di semaforo, lasciando loro una discrezionalità totale nella individuazione di contenuti lesivi. E dall’altra evitare di immaginare di attribuire ad un algoritmo il compito di arbitro della verità”.

Si tratta di una presa di posizione condivisibile che tuttavia non è risolutiva di un fenomeno che assume dimensioni sempre più rilevanti, con conseguenze talvolta anche drammatiche.

La diffusione delle notizie false e denigratorie è un fatto molto grave che non può essere relegato nell’alveo di iniziative di buontemponi che utilizzano la rete per attuare innocenti scherzetti.

Le fake news on line costituiscono spesso una vera e propria attività denigratoria scientificamente organizzata al fine di screditare qualcuno oppure assegnargli la titolarità di dichiarazioni e di opinioni del tutto manipolate.

É pertanto necessario, potremmo anche dire urgente, attuare delle regole chiare al fine di arginare iniziative nefaste e prive di controllo.

Ad oggi gli unici in grado di bloccarle sono i gestori delle piattaforme digitali i quali, tuttavia, si trincerano dietro il principio della non responsabilità del provider e, in base ad una distorta concezione del diritto alla libertà di informazione, rifiutano di rivelare l’identità degli autori.

Tra i rimedi ipotizzati per evitare la circolazione di informazioni non accertate, vi è quello di conferire al provider il compito di effettuare un controllo sulla veridicità delle fonti della notizia pubblicata attraverso il fake checking. Si è anche pensato di affidare ad algoritmi appositamente elaborati la verifica in ordine alla veridicità o meno delle comunicazioni. Soluzioni che sono state ritenute inadeguate dal Garante Privacy poiché la tutela di diritti delle persone, come è condivisibile, non può essere rimessa alla valutazione di un provider e ancora meno ad un algoritmo. Non di meno è improprio ritenere che non vi sia modo di attuare tutele con le regole esistenti sia a livello domestico che europeo. Infatti il diritto alla libertà di espressione legittima giustamente a mantenere l’anonimato, ma ciò allorquando l’autore rischia di essere sottoposto a persecuzioni per aver manifestato delle opinioni e non certamente quando le dichiarazioni rese mirano unicamente a ledere la reputazione del destinatario.

In tal senso si è espressa anche la Corte UE dei Diritti dell’Uomo nonché alcuni tribunali italiani a proposito di casi che hanno suscitato un certo clamore.

É corretto ritenere che la responsabilità del gestore non possa essere in tutto e per tutto equiparata a quella dell’autore materiale dell’illecito.

Nondimeno è opportuno verificare se il gestore abbia attuato tutte le preventive misure di contrasto delle pubblicazioni illegali e, soprattutto, se una volta segnalategli abbia provveduto a rimuoverle.

Solo in questa ultima ipotesi egli potrà legittimamente invocare l’applicazione del profilo di proporzionalità che attenuerà nei suoi confronti gli effetti dell’illecito.